21 Novembre 2024

Una legge che aspetta da 9 anni

Abbiamo raggiunto al telefono l’on. Gabriella Carlucci il giorno della presentazione della legge in Agis (26 febbraio). L’energica parlamentare del PdL rivendica con forza la maternità della Legge, per la quale si batte dall’ormai lontana XIV legislatura e ci mette a parte di suoi appunti che con piacere condividiamo con voi. Ci rassicura sulle tutele previdenziali e ci invita tutti a diventare imprenditori di noi stessi, se ancora non l’avessimo fatto. Chi ancora non l’ha fatto?

Risorse on line:

La Legge

Note sulla Legge

Teatro Quirino

Comments

  1. Ma brava la Carlucci!!! Nessuno oserà mai toglierle la maternità di questa legge….sempre che riescano a farla e a finanziarla.
    Io non voglio fare sempre quella che rompe le uova nel paniere, ma davvero qualcuno pensa che questa legge migliorerà in qualche modo la vita dei lavoratori dello spettacolo?
    Innanzitutto bisognerebbe spiegare alla Carlucci cosa sono gli ammortizzatori sociali. Andiamo per esclusione: non sono le coperture per gli infortuni, non sono detassazioni e soprattutto non è la cassa integrazione. Tutte queste cose sono previste solo per chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e quindi -nel nostro caso- si parla solo per chi è assunto in un teatro che fa stagione lirico sinfonica o che ha un corpo di ballo o una compagnia stabile di prosa, mentre la maggior parte di noi viene assunto a progetto o con un contratto da autonomo. Gli ammortizzatori sociali sono le indennità di disoccupazione, malattia e maternità per i lavoratori che hanno contratti fortemente intermittenti e che quindi hanno bisogno di coprire i periodi in cui non lavorano in attesa di un nuovo contratto.

    Per quanto riguarda il suo consiglio….beh, insomma, mi piacerebbe molto seguirlo, ma se avessi abbastanza denaro da poter avviare una piccola media impresa allora non avrei neanche bisogno di chiedere un aiuto allo Stato, no? Cioè qual’è il loro discorso? Intanto comincia a lavorare e poi se ci piace quello che fai ti diamo qualche spicciolo?
    Ma soprattutto si potrebbe finalmente sapere CHI è che sceglierà i progetti e CHI andrà a vedere se il denaro investito è stato ben speso? DA CHI saranno formate le commissioni che monitoreranno tutto questo flusso di denaro(sempre che ci sia)?? Non si fa altro che parlare di questi controlli sui risultati, ma nessuno parla di come intendono costituire queste commissioni. Qualsiasi commissione ovviamente piacerà a qualcuno e non piacerà a qualcun’altro, ma credo che sarete tutti d’accordo sul fatto che ci vuole molta trasparenza e professionalità su questo punto!

    L’esempio che ha citato, il teatro Quirino, è un esempio davvero fuori luogo, perchè è un teatro che ha una storia ed una sua vita oramai presente sul territorio da moltissimi anni, sarebbe come dire -per i milanesi- diventate come il teatro Piccolo e poi in caso vi aiutiamo.
    Secondo il mio modestissimo parere, che ovviamente non conta nulla, ma voglio comunuqe condividerlo con voi, questa non è una buona legge per chi è un lavoratore dello spettacolo. La cultura deve essere sostenuta principalmente dallo Stato, soprattutto la ricerca. Questa legge spinge la ricerca delle sovvenzioni verso i privati, ma i privati sovvenzioneranno sempre e solo un certo tipo di spettacolo, quello che rende, quello dei grossi nomi e dell’intrattenimento, mentre la danza e soprattutto la danza di ricerca, continuerà a rimanere la cenerentola delle arti, come è sempre stata.

    NO COMMENT sull’età pensionabile dei ballerini. Partendo dal presupposto che gli unici ballerini che possono auspicare alla pensione sono i ballerini dei corpi di ballo tipo Scala o Opera di Roma, bisognerebbe chiedere a loro cosa ne pensano…dubito che siano contenti!

    Capisco che scrivere una legge sia una cosa complicatissima, e che bisogna mettere d’accordo tante teste diverse. Sono anche sicura che tra le persone che hanno scritto questa legge ci saranno anche persone che sono a contatto con il lavoro vero all’interno dello spettacolo dal vivo, e che sono consapevoli che questa non è una legge soddisfacente, e che è scritta in modo approssimativo e senza tenere conto dei reali problemi delle categorie alle quali si rivolge. Ma io penso che tra avere una cattiva legge e non avere una legge io non so proprio cosa preferire.

    Per ora vi lascio e vi copio qui sotto due link: il primo è un articolo proprio sulla legge di cui stiamo parlando, mentre l’altro è un articolo che parla di questa SPA “arcus”, che si occupa di beni culturali e di spettacolo. Una società privata mantenuta con i soldi pubblici, senza l’obbligo di giustificare le spese, e che faranno praticamente i tanto-denigrati-dalla-Carlucci finanziamenti a pioggia, a nostre spese, agli amici e parenti degli avvocati del Presidente del Consiglio.
    Ma chi si può fidare???

    http://bandettini.blogautore.repubblica.it/2010/02/26/la-legge-e-lentusiasmo-della-carlucci-piu-i-nostri-podcast/

    http://www.repubblica.it/cronaca/2010/02/28/news/arcus_la_societ_per_la_cultura_che_regala_le_mance_di_stato-2458569/index.html?ref=search

  2. Ciao Lia,
    grazie per i link. Avevo letto l’articolo su Arcus che è molto interessante. Non so se hai letto nell’art. 11 che il 20% del potenziamento del FUS arriverà proprio da Arcus. Stiamo cercando di contattare Fabio Granata, la spina nel fianco del PdL, per avere anche la sua opinione in merito.
    Su quello che dici sulle PMI, mi sembra che fai un discorso un po’ circolare. Diciamo che noi, tu, chi si è organizzato in una compagnia formalmente riconosciuta, siamo già PMI, non è che dobbiamo mettere soldi per esserlo, almeno non più di quanto non facciamo di già. Le PMI, in quanto tali, vengono molto sostenute (basta vedere i fondi regionali e i fondi europei molti dei quali sono per le PMI!). Inoltre sono proprio i fondi dati a pioggia che vengono dati a chi piace a loro (come dimostra il caso di Arcus). Per citare quello che scrivi: “Intanto comincia a lavorare e poi se ci piace quello che fai ti diamo qualche spicciolo”. Il discorso non è che “se gli piace” allora ti danno i soldi. Ma è piuttosto “se dimostri di essere organizzato e affidabile”, allora ti danno i soldi. Perchè fino ad ora davano i soldi a chiunque, decreto dopo decreto, ed è chiaro a tutti che così non può andare bene. Ed è proprio questo che dobbiamo ottenere: non più giudizi sulla qualità artistica del nostro lavoro, ma sul modo in cui ci organizziamo e gestiamo concretamente i soldi dello stato. Funziona così ovunque, tranne che in Italia. Spero solo che uno strumento legislativo porti novità in questo senso.
    Per le altre cose che scrivi, non le condivido tutte in pieno. Ad esempio: il Quirino, che tra l’altro non conosco per niente, è privato, il Piccolo è tuttora un teatro pubblico, quindi non è un paragone azzeccato. Comunque eccezion fatta per il Quirino, ci sono tanti esempi di teatri privati che funzionano, come Scenario Pubblico a Catania. Se vai all’estero i teatri funzionano tutti in una logica imprenditoriale. E più ragionano in questi termini, più vengono sostenuti dallo Stato.
    Ma non avevi promesso che in futuro saresti stata più clemente con i giudizi (v. commento alla De Biasi)? 😉

  3. …non si può essere clementi in queste occasioni.
    Innanzitutto volevo ringraziarvi per aver condiviso questa video intervista, non ve l’ho detto prima, perchè è interessante sentire direttamente dalla sua voce queste dichiarazioni.

    Ribadisco comunque alcuni concetti, giusto per chiarire e poi se non sei d’accordo pazienza.
    Primo: sinceramente non mi sento per niente una piccola media impresa con un’associazione NON legalmente riconosciuta e senza scopo di lucro. Leggerò attentamente la legge, anche se avevo già letto la bozza, ma continuo a pensare che senza un sostengo economico è molto difficile pensare di cominciare alcunchè. In altre parole: non è obbligatorio per legge avere un capitale di partenza, ma di fatto senza un euro non si può fare praticamente nulla se non partorire idee. Solo per avere una sala prove a Milano devi donare un rene, produrre anche una piccola performance diventa un’impresa….forse ci si riferisce alle PMI in questo senso?

    Secondo: mi sento molto europea e poco internazionale a dire questo, ma in America non esiste praticamente il pubblico, e forse la cultura si sostiene attraverso il privato, mentre in Europa, se Dio vuole, ancora molta cultura si fa grazie al sostegno statale. Io conosco un pò la realtà viennese, e lì le compagnie ricevono le sovvenzioni direttamente dal pubblico. Però c’è un sistema che permette un costante monitoraggio dei lavori che consente una distribuzione equa e sostenibile e un adeguato scambio generazionale. Molte compagnie vengono sostenutea più livelli, dallo spazio per la sede alle paghe per i danzatori, e ogni anno, ad ogni produzione, la commissione che ha scelto i progetti da sostenere va a vedere tutti gli spettacoli, lavorando continuamente e costantemente. Anche in Germania, a quanto mi risulta, e in Francia, lo Stato sostiene la cultura, soprattutto quella che ha più bisogno di essere sostenuta.
    Sarò all’antica, ma a me non piace pensare alla creazione artistica come ad un prodotto commerciale. Forse mi serve tempo per abituarmi a questo modo di vedere le cose, ma immagino l’arte come qualcosa di libero che non può sottostare alle regole di mercato. Per questo esistono già tanti altri settori in cui si privatizza il pubblico, ma almeno la cultura mi piacerebbe che restasse libera. E per questo il sostegno dello Stato è fondamentale. Non SOLO quello ma SOPRATTUTTO.

    La logica imprenditoriale dei teatri non deve essere scambiata con una gestione imprenditoriale delle risorse. Sono d’accordo quando si dice che il teatro può creare ricchezza, e che comunque offre dei servizi che effettivamente vengono “venduti”, ma non si può pensare che un teatro venga gestito come una fabbrica di prosciutti.

    Per quanto riguarda il Quirino quello che intendevo dire è che è un teatro che si trova al centro della città, e ha una storia lunghissima alle spalle che gli garantisce una certa visibilità e un afflusso di pubblico. A prescindere dal fatto che sia in questo momento pubblico o privato. Anche il Piccolo non è totalmente sostenuto dalle sovvenzioni statali. Non esiste un teatro totalmente statale, ma senza il sostegno dello Stato anche il teatro alla Scala chiuderebbe, anche se si tratta di una fondazione.

    Il rischio è che le sovvenzioni le prendano alla fine, chi sa organizzarsi, chi ha disponibilità di ricchezze per farlo, e non chi ha le qualità artistiche. Io non so se sarei contenta sapendo che i criteri per scegliere i progetti eludono a piè pari la voce “qualità”, anche se la discussione è ancora aperta, ma ci si propone di fare Arte (?) o commercio??? Non lo so, questa cosa mi lascia molto perplessa, anche perchè rischiamo di spersonalizzare e alienare un lavoro che ha già una sua identità. Non è quella che deve essere cambiata.
    Ma forse sono già troppo vecchia per accettare un cambiamento così radicale…vediamo cosa posteranno gli altri ascoltatori.

    Chiudo dicendo che le esperienze di lavoro tra di noi sono molto diverse, e se qualcuno esprime un’impressione non è per polemizzare. Bisogna tenere conto anche delle differenti carriere lavorative di ognuno di noi, e delle relative esigenze. Queste differenze sono una ricchezza, perchè rappresentano i diversi punti di vista dai quali si possono osservare le cose. Questo è il mio, e se non siete d’accordo pazienza, va bene lo stesso, amici come prima….o no?

  4. Ciao Lia! Non ti devi scusare di quello che pensi, né tantomeno scrivere che il tuo parere non conta nulla, altrimenti perché scrivere? Non facciamo come nel cdap dove non si poteva dir nulla, perché tutti si offendevano o pensavano chissà che polemica si stesse iniettando in un semplice scambio di opinioni. Come diceva Voltaire: NON SONO D’ACCORDO CON CIO’ CHE DICI MA DIFENDERO’ FINO ALLA MORTE IL TUO DIRITTO DI DIRLO. L’importante è argomentare e – perchè no? – anche polemizzare sempre da persone adulte e… amici non come prima, ma più di prima!

    Non avresti modo di far intervenire qualcuno di Vienna che conosci per riportare una loro testimonianza?

  5. Mi piacerebbe molto, ci stavo pensando proprio oggi. Non so se la persona in questione avrà voglia di intervenire direttamente, ma posso raccogliere una testimonianza e poi riportarvela in qualche modo. Ma come fate voi a registrare le telefonate? Con Skype posso registrare le chiamate?

  6. certamente puoi farlo via skype, ma devi comprarti un plug-in: si chiama Call Recorder. Oppure puoi venire qui da noi e utilizzare il nostro.

  7. Sono d’accordo con Giuseppe, è così bello polemizzare un po’, di quando in quando!
    Viviamo nel paese delle leggine fatte ad hoc per pochi eletti (la cronaca politica di questi ultimi due giorni è un chiaro esempio di cosa si fa in Italia con le regole…). Quindi personalmente non vedo l’ora che ci siano delle regole chiare per tutti.
    Quando parlavo dell’estero mi riferivo proprio all’europa, dove è vero che lo Stato ti sostiene, ma ti sostiene anche premiando la strutturazione delle compagnie. Finanziano di più, le compagnie aumentano, sono sottoposte a una concorrenza tra di loro che in Italia manco ci sognamo, perché comunque le risorse pubbliche sono limitate, e quindi sono naturalmente spinte a organizzarsi meglio (con ciò, perché no, facendo del loro spettacolo un ‘prodotto’ culturale, da ‘vendere’ sul mercato: ma che problema c’è?). Le compagnie si strutturano proprio perché, confrontandosi con il mercato, intuiscono che è necessario darsi una struttura stabile e concorrenziale per poter accedere al finanziamento pubblico. Tant’è vero che, ad esempio, a livello europeo sono tante le realtà europee che partecipano ai bandi del programma Cultura (e che li vincono), mentre pochissime sono quelle italiane. Chissà perché… Comunque chiediamo a gran voce un intervento della nostra Lara Martelli da Berlino, che ci racconti un po’ anche la sua esperienza!

    Non sono un liberista mercatista, sia chiaro, ma certo un po’ di mercato in più, nel nostro paese, farebbe emergere tante realtà, quelli che tu chiami giustamente talenti, che altrimenti vengono schiacciate dai contributi a pioggia dati agli amici e dai decreti che impediscono alla danza di entrare nei teatri, così come dai decreti che di punto in bianco cambiano le regole del gioco. Per mercato intendo solo “libera concorrenza”, o meritocrazia. In Italia la concorrenza non è libera. Non vale il principio che più ti sbatti, più ricevi. Sembra anzi essere vero il contrario.

    Sulle PMI: tutti noi, associazioni culturali non riconosciute che facciamo spettacolo, acquisiremo lo status di PMI. Questo non significa niente… e significa tutto. Impresa non vuol dire spendere più soldi o capitalizzare, semplicemente inserirsi in un ottica di rischio: il rischio imprenditoriale, che ti fa prendere delle scelte piuttosto che altre, valutando costi e benefici. Niente di più, niente di meno. Il fatto è, ribadisco, che il rischio viene sostenuto dalle amministrazioni pubbliche, e si apriranno nuove prospettive di finanziabilità dei nostri progetti.

  8. Sì polemizzare fa bene e poi, Lia, nessuno vuole imporre nessuna visione e se non si è d’accordo su alcuni punti, come dici tu, pazienza! Però è vero che avevi scritto “la legge va bene anche a me, perchè è un primo mattoncino” per poi sostenere che “…non si può essere clementi in queste occasioni.”: ecco, si può cambiare idea da un’intervista all’altra, però quanto meno dichiarare espressamente di aver cambiato idea consentirebbe di seguire meglio il tuo ragionamento.

    Mi riporti esempi come la Francia o Vienna, ma altrettanto come tu stessa hai evidenziato, ci sono altri esempi esattamente opposti sia geograficamente sia come impostazione delle cose: vedi l’America, portato anch’esso come esempio di funzionalità. Allora, perché uno esclude l’altro o perchè il primo è per forza migliore del secondo? perché semplicemente più europeo? Perché ci hanno fatto abituare così? Non mi pare che i danzatori francesi navighino nell’oro. A Berlino ad esempio vivono meglio perché il costo della vita è decisamente più basso: ma questo riguarda tutti i settori, anche gli operai insomma, quindi è un discorso più generale e complesso che non ha senso riportare adesso.

    Ma se proprio vogliamo sostare sotto la matrice europea, la stessa Ue nei programmi cultura, incentiva un grande slancio innovativo e dunque di ‘sforzo’ intellettuale maggiore a creare occasione di rafforzamento identitario europeo. Ovvero non basta solamente l’eurino a farci sentire europei, né tantomeno considerarsi ‘artisti’ che confinano per caso territorialmente tra loro, ma occorre ingegnarsi e chi merita, ottiene i fondi. Dunque l’impronta per cosi dire di concorrenza del mercato è fortemente ispessita sotto l’egida Ue e sotto i vari aspetti e dunque anche culturale, proprio in vista di diventar un Europa più unita e più concorrenziali con l’America e la Cina. Ma questo è un esempio di come i tempi sono cambiati e non bisogna esserne terrorizzati o sviliti semplicemente perché si sono fatti precedentemente altri percorsi.

    Inoltre penso anche che la favola della danza sia finita: GAME OVER! Personalmente da un bel po’ che la penso così! Perché la danza deve essere per forza ‘bella’? e perché, in quanto bella, antropologicamente meritevole da dover essere sostenuta, come la cultura stessa in generale, necessariamente E necessariamente dallo Stato? Sono d’accordo con Lella quando sostiene che peggio di così non potevamo stare ed è proprio questo sistema pubblico italiano che ci ha costretti a questo. Perché temere di cambiarlo? Chi l’ha detto poi che la danza non è equiparabile a un’azienda di prosciutti? E se i vecchi maestri ci avessero solo raccontato favole? Magari anche in buona fede, perché ci credevano anche loro per carità…o, in male fede, perché conveniva anche a loro incastrare la danza sul piedistallo ad aspettare i dovuti riconoscimenti finanziari?
    Cosa rende così difendibile il famoso sistema-a-pioggia? questa intermittente elemosina che ti rilega comunque nelle ultime file della danza? Non eri tu stessa che lamentavi che il cdap stesse delineando un pericoloso scenario di danzatori A e di danzatori B? Ma il sistema-a-pioggia o le politiche della Scala sposate con un sistema pubblico magna-magna, non sono proprio indirizzate a creare una differenza sostanziale di questo genere? Perché devo scendere in piazza con una Mariangela Melato per proteggere il suo stipendio quando lei se ne fotte dei problemi che vivo insieme ai danzatori del mio settore e non ha mai sensibilizzato nessuno al riguardo per far cambiare le cose anche per noi?
    Allora anch’io concordo che non ha senso di parlare in termini di compra-vendita da sciacalli business-oriented, però quanto meno iniziamo anche a vedere gli esempi di fuori come funzionanti anche perchè nutriti di un quid in più e perché organizzativamente più strutturati di quanto la favola della danza italiana voglia farci non vedere perché le conviene così!

  9. well … credo che alla fine stiamo dicendo un pò le stesse cose.
    Comunque io non ho cambiato idea sullalegge. Fin dall’inizio ho espresso perplessità sull’assenza di ammortizatori sociali e sulla composizione delle commissioni (di cui la legge non dice nulla). Non ho mai salutato questa legge con felicità. Avevo solo detto che era un primo mattoncino, non che ci avevano scaricato tre tonnellate di materiale edile fuori dalla porta di casa! Forse, credo, il tono della Carlucci mi ha scoperto un pò il canino, lo ammetto, ma non ho mai espresso pareri nettamente positivi su questa bozza. Ma forse su questo punto non ero stata abbastanza chiara … mamma mia com’è difficile scrivere sui blog!!
    Comunque resta importante poi come sarà reintrpretata dalle regioni, penso che questo farà davvero la differenza alla fine, quindi il lavoro è ancora tutto da fare.
    beh, però adesso vi lascio, che mi aspettano in classe.
    Ciao!

  10. Buonasera.
    Ho sentito la persona di cui vi parlavo, che vive e lavora nella città di Vienna da più di vent’anni. Ha una compagnia sovvenzionata con la quale produce spettacoli di danza contemporanea, con un organico che varia dalle tre alle otto persone che danzano più tecnici e collaboratori che lo seguono, ed una collaboratrice che si occupa dell’amministrazione.

    Mi ha raccontato come funzionano un pò le cose in Austria, nello specifico nella citta di Vienna, dove lui opera.

    1) Tipologia di sovvenzione:
    E’ lo Stato che sostiene la cultura, su più livelli, l’intervento del privato avviene solo in caso di sponsorizzazioni o donazioni, ma comunque nell’organizzazione di questo paese rappresentano solo una parte marginale.

    2) chi da le sovvenzioni
    Partono dal ministero centrale delle arti e della cultura, che al suo interno ha uno specifico settore danza, dove opera una commissione che decide come distribuire le risorse economiche. Questa commissione prima era formata da cinque persone, qualche anno fa, mentre adesso è formata da tre personalità del settore che sono giornalisti e critici, profondi conoscitori della danza e di chiara fama internazionale. So che alla parola critico arruzzerete il pelo ma questo consente di evitare conflitti di interesse ed è fatto esclusivamente per avere una certa trasparenza nelle operazioni.
    Una delle componenti della commissione è Andrea Amort, che scrive anche su ballettanz international da anni.
    Queste tre persone della commissione (e dico sono solo tre) vanno SEMPRE a vedere tutte le performance e gli spettacoli delle compagnie che vengono sovvenzionate. Ci vanno perchè è il loro lavoro, ma ci vanno anche perchè il regolamento lo richiede. Anche se non sono sempre tutti almeno uno dei tre è presente. Dopo la visione dell’opera formulano una relazione che viene inviata al coreografo della compagnia e al Ministero.

    3) come vengono distribuite le sovvenzioni
    Le sovvenzioni vengono distribuite su tutto il territorio austriaco per circa (questo lui ci ha detto) 30-35 gruppi e compagnie, stiamo parlando solo delle compagnie di danza contemporanea, per una cifra totale che si aggira attorno ai 2 milioni e mezzo all’anno di euro, sempre solo per il settore danza contemporanea, quindi escludendo il balletto dell’Opera o comunque compagnie di balletto.
    A questa compagnia in specifico con la quale sono in contatto i fondi sono stati erogati su due fronti: il 70% è stato dato dalla città di Vienna, mentre il 30% dalla regione di Vienna. Vi riporto così esattamente come lui mi ha riferito, perchè non so come si chiamanno le amministrazioni in tedesco.

    Chiaramente stiamo parlando di una parte d’Europa molto ricca, ma è anche vero che storicamente l’Austria ha sempre investito nell’arte in generale e non solo nella danza, pur essendo una piccola nazione. Voi mi chiederete: serviranno tutti questi soldi in Austria? Beh, basta guardare i video su youtube di performance Viennesi per rendersi conto della qualità di quello che si sta guardando, una qualità che prescinde dal gusto personale, ma dalla quale traspare una professionalità inequivocabile. Chi ha avuto la fortuna di visitare questa piccola città, e il suo Tanz Quartier, o vedere gli spettacoli dell’impulsTanz avrà un’idea di quello di cui sto parlando. Io ho fatto un calcolo sommario partendo dal PDF che vi ho linkato qualche commento fa sulla distribuzione delle sovvenzioni per la danza in Italia. Ho sommato le cifre relative solo alle compagnie di danza contemporanea, e ho ottenuto una cifra APPROSSIMATIVA attorno a 1 milione e 700 mila euro … non ci sono ovviamente parole.
    Cioè ci sarebbero anche, visto che la popolazione austriaca è meno di un quinto di quella Italiana, e contando anche che l’Italia è conosciuta nel mondo proprio come un paese d’arte e di cultura. Viene da pensare, no?
    Poi possiamo raccontarci tutto quello che vogliamo, che i privati possono aiutarci a salvare l’arte, e tutto può andare bene, ma le nostre radici europee sono queste, questa è la nostra natura e la nostra storia. Sono assolutamente aperta a qualsiasi novità possa sostenere i nostri sforzi, ma visto che questa nostra tradizione di sostenere l’arte come patrimonio di tutti è lodevole, ci penserei davvero prima di osannare la privatizzazione.

    Meditiamo, gente … meditiamo.

  11. AAAAhhh!!! Dimenticavo!
    Le sovvenzioni vengono date in tre formule: per due anni, per un anno oppure a progetto. Quindi ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le necessità.
    Una volta davano anche le sovvenzioni per quattro anni, ma poi hanno preferito darle per due al massimo.
    Anche loro sentono la crisi, infatti hanno dovuto abbassare un pò le cifre, ma la loro politica resta sempre dare meno ma dare a tutti senza abbandonare nessuno.

    Sogni d’oro a tutti
    Questo secondo me è un esempio virtuoso da seguire.

  12. Caspita sarebbe interessante fare un’indagine su come gli altri paesi europei sostengono la cultura (poi certamente dipenderà anche dall’orientamento politico di chi sta al governo..). Forse potremmo sentire i vari direttori degli istituti culturali stranieri in Italia.
    Vi riporto un breve articolo trovato sul Corriere della Sera sul caso della Germania dove, invece, sembra che i privati contribuiscano parecchio alla cultura, oltre allo stato, che però è federale quindi ogni regione (Land) ha piena autonomia. In Italia invece si vuole mantenere una distribuzione dal centro alla periferia, a mio avviso con pessimi risultati di distribuzione territoriale – e quindi qui si introduce un’ulteriore variabile: non più solo pubblico-privato, ma anche stato-regione.
    http://archiviostorico.corriere.it/2009/agosto/26/Sponsor_Privati_alla_Cultura_Modello_co_8_090826010.shtml

    Comunque il modello austriaco mi ricorda molto quello italiano con due differenze: più soldi, meno Casta.

  13. Carina la proposta di Giovanni sull’esplorare le varie situazioni di compagnie in Europa!
    Mi è venuto allora in mente di una pazzesca compagnia spagnola di danza che si chiama EL CURRO: termine gergale per riferirsi simpaticamente al ‘trabajo’, ovvero il ‘lavoro’. Conosciuti nel lontano 2000 durante una permanenza a Madrid durata un annetto, ho iniziato a frequentare i loro corsi. Praticamente una compagnia a tutti gli effetti, che da soli sono riusciti a prendere in affitto uno spazio in centro (Chueca) e autofinanziarsi perfettamente attraverso corsi e percorsi di formazione (non ricordo sinceramente altre attività a latere), quasi come se fosse un’accademia a tutti gli effetti. Dallo stesso spazio, sono riusciti a ricavare anche la zona teatro, dove presentavano le proprie produzioni convogliando anche alcuni dei loro studenti (REMUNERANDOLI!), dunque sistema di compagnia aperta. Inoltre creavano una rassegna ricchissima e molto di avanguardia, biglietto d’ingresso competitivo agli standard di prezzi, pienone a tutti gli spettacoli, circuitazione variegata di gente. Erano strepitosi proprio nel loro essere organismo AUTONOMO, ben strutturato e professionale. Sempre aperti come spazio, erano infaticabili, delle macchine da guerra: non li ho mai sentiti lamentarsi di fondi e quant’altro perché il problema non sussisteva per loro. Erano seguitissimi dalla stampa, pur non essendo un teatro ufficialmente riconosciuto.

    Allora quando parlavo della favola della danza italiana mi riferivo al solito immobilismo in attesa della benedizione dall’alto. Io, il mio rapporto edipico dipendente con la Stato-famiglia, l’ho superato: appunto non credo più alle favole.

    Qui è chiaro che l’urgenza del momento è essere realisti. In un paese come il nostro dove per ‘patrimonio’ s’intende ad esempio una Scala – con tutto il dannoso sistema di menti annesso – ora, direi di stare molto attenti nel definirlo ‘patrimonio di tutti’. (Altrettanto starei attento a scegliere di lavorare come mimo: più dignitoso un call center insomma!). Per carità, io non ce l’ho con la Scala. Ma è lo stesso discorso già fatto sulla Melato, per dire. Allora proseguo alla Marzullo con una domanda: perché tutto a loro e a noi niente? Risposta: perché loro dicono, noi siamo la vera danza, noi siamo il vero teatro (era questo il sistema di menti dannoso a cui mi riferivo sopra). Allora in Austria non hanno di certo il fardello tradizionalista culturale da ‘Bel Paesone’ come il nostro. (E’ vero: siamo sfigati pure storicamente, che dobbiamo fà??! Ci abbiamo pure il Vaticano!!!) Sicuramente la speranza è l’ultima a morire: ma non ho il tempo di star dietro allo Stato!

    Commissione di selezione composta da critici? In Italia? Direbbero gli americani: “please, get real!”, ovvero siamo realisti! Da un po’ di tempo stiamo raccogliendo su alcune testate (non facciamo pubblicità) gli articoli di recensione su spettacoli di danza (volevamo fare un video post su questo): praticamente vanno a vedere le stesse cose di sempre! Addirittura in un articolo in particolare la Ottolenghi sosteneva che andava a vedere Bejart perché non c’era nient’altro di bello in giro! Vogliamo parlare della Guatterini? No comment! Ora dovremmo anche occuparci di un cambio generazionale di critici, è evidente! Ma attualmente rabbrividisco all’idea di essere selezionato dai soliti 4-5 critici italiani. In Austria è chiaro che vi è un altro ed un più alto numero di professionisti del settore anche più curioso. Per la par condicio bisognerebbe anche intervistare una compagnia austriaca che non riceve i finanziamenti statali. Tuttavia tanto di cappello all’Austria: ma se voglio assomigliare all’Austria, non posso però andare a fare il mimo alla Scala (eh arridaje!!).

    Ribadisco dunque che essere europei è tutt’altra cosa che rispolverare la solita argenteria di sistema. Leggiamoci tutti il trattato di Lisbona.

  14. Ciao Giovanni, condivido a pieno quello che hai scritto. Anche io credo che più che inventarci chissà quale novità sarebbe molto meglio prendere come guida un sistema che sia già collaudato e che funziona.
    Credo che guardare all’estero sia la strada giusta per andare verso un giusto equilibrio tra Stato e sovvenzione privata. Anche su quello che dici sulla faccenda Stato-Regione mi trovo assolutamente d’accordo. Infatti sarebbe auspicabile farla finita con questa gestione romano-centrica delle risorse, perchè alla fine una buona parte rimane nel Lazio.

    Mi ripeto, ma sono d’accordo anche sulla tua chiusa: più soldi e meno Caste.

    Per tutte le obiezioni scritte da Giuseppe, io sono perfettamente consapevole che la situazione austriaca non è replicabile in Italia. Voi avevate chiesto se potevo raccogliere informazioni ed è quello che ho fatto, le mie considerazioni erano solo per dire che non posso che essere ammirata per la loro gestione in fatto di cultura, e che per me questa è una situazione ideale alla quale si può protendere.
    Sinceramente, avendo fatto sia il lavoro in call center che il lavoro di mimo, posso sicuramente dire che preferisco fare il lavoro di mimo alla Scala. E ti spiego anche perchè: lavorare nelle opere liriche mi ha permesso di imparare moltissime cose sulla musica e sulla gestione della scena, io lo trovo un lavoro davvero interessante e dignitoso, e non vedo nulla di incorente a lavorare in teatro. Io lavoro, vengo retribuita, e molto spesso capita di fare lavori interessanti anche registicamente. Senza contare che questi lavori mi consentono di avere un pò di tranquillità economica per dare più tempo ed energia ai miei progetti.
    Non capisco perchè demonizzate tutti il Teatro alla Scala, che avrà anche i suoi problemi, ma sembra diventato il nemico pubblico numero uno. Loro fanno tradizione, e noi facciamo danza contemporanea. Punto. sono cose diverse.
    E non è vero che tutti i soldi se li ciucciano loro: andate a guardare il link che vi avevo inserito sulle sovvenzioni per la danza nel 2009, e vedrete che c’è tutta una costellazione di sovvenzioni attorno a Roma, e poi anche Aldes, Sosta Palmizi, Abbondanza Bertoni, Micha Van Hoecke …. certo non si può dire che prendano tantissimo, ma comunque le sovvenzioni ci sono.
    Il teatro alla Scala muove tantissimi lavoratori, come ad esempio i macchinisti, che sono bravissimi, i tecnici, la sartoria e tutte le maestranze. Un teatro non è fatto solo da chi sta sul palcoscenico. Conosco i problemi di quel teatro, e capisco anche che sia facile dire che è un teatro inutile che mette in scena solo pezzi di antiquariato, ma alla fine ci sono moltissimi bravi professionisti che lavorano lì dentro e di cui nessuno quasi si accorge …
    …anche in Austria esiste il teatro dell’Opera, che fa balletto esattamente come il teatro alla Scala, Opere liriche e concerti della filarmonica.
    Solo che -come dice Giovanni- ci sono più soldi anche per gli altri, e allora nella stessa città convivono forme diverse di spettacolo senza problemi.

    Credo che nessuno di noi stia fermo ad aspettare che succeda qualcosa dall’alto … non abbiamo mica le fette di prosciutto sugli occhi!!! Ma se dobbiamo fare una discussione su una legge nazionale per lo spettacolo dal vivo allora credo sia necessario prendere una posizione anche sull’argomento sovvenzioni statali. Nel frattempo ognuno di noi si sbatte per cercare di realizzare i propri progetti come può, nelle sue disponibilità di denaro e di tempo, come abbiamo sempre fatto. A volte va bene e altre va male, ma queste sono le regole del gioco!
    un saluto

    il mimo (eheheheheheh)

  15. La Scala era un esempio: ho anche specificato che non ce l’ho con la Scala. Un esempio per spiegare il sistema di osteoporosi mentale che ha creato insieme ai clan affini. Ovviamente non sto qui a sottolineare più di tanto come il corrispondente teatro dell’Opera austriaco, non ha intaccato nessun altro settore. Se poi devo difenderla perché dà lavoro, allora devo difendere anche il call center: ma vogliamo andare avanti con questo modo di ragionare? Non so…quando incitavo a vedere gli esempi di fuori come funzionanti anche perchè nutriti di un QUID in più, era appunto di iniziare a ragionare su un altro livello: esortazione ovviamente rivolta a tutti coloro che leggono e che partecipano al blog.

    L’esempio austriaco è ottimo: grazie per averlo condiviso. Infatti te l’avevo chiesto proprio io e immaginavo perfettamente l’efficienza che avresti riportato. Interessante è anche la call che ho scovato per ARTISTS- IN-RESIDENCE AT TANZQUARTIER di Vienna dell’anno scorso rivolto a performer provenienti dall’Eastern and Southeastern Europe, ovvero da Albania, Bosnia- Herzegowina, Bulgaria, Croatia, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Russia, Serbiae Ukraine. Sicuramente più bandi Ue lavorati trasversalmente, con un interesse privilegiato ai paesi con low capacity production: insomma signori, bandi dell’Ue, fortemente competitivi! E questo l’ho trovato casualmente…chissà quanti altri ne avranno attivati: sarà forse che nemmeno i mega fondi statali bastano più? Eppure navigano nell’oro da quanto abbiamo scoperto. Sarà forse per il dimezzamento subito a seguito della crisi (come Lia ha ipotizzato nel suo report): magari potessimo noi usufruire anche solo della metà di quel dimezzamento! Ma evidentemente si sono resi attivi per integrare quello che lo Stato non è riuscito a dare: grande impulso imprenditoriale! Mentre qui psicanalizziamo ancora il mistero tra privato e pubblico…

    Ma a me, devo ammettere, piace psicanalizzare ed è per questo che continuo a sostenere che aspettare o auspicare a tutti i costi l’intervento dello Stato, dandogli tutte le colpe per l’impoverimento degli artisti italiani, determina il proliferarsi di infelici contesti dove colleghi (!!) organizzano festival a zero soldi e invitano a danzare praticamente senza nemmeno pagarti il minimo sindacale. Dicono: “non è colpa mia se lo stato non mi dà i soldi. Io voglio danzare e lo faccio. Anzi organizzo, ma non solo: organizzo consapevole di non riuscire a pagare gli artisti che invito” cavalcando l’onda accreditata che non ci sono soldi statali. E questo è un altro mistero che nemmeno tra colleghi si riesce ancora a risolvere. Il mistero per metà è risolto: è vero che lo stato non dà i soldi giusti. E l’altra metà del problema? Cioè Il mistero si potrebbe in parte risolvere domandandoci: cosa posso fare io? È evidente che c’entra poco lo Stato qui come pure le ideologie sia di destra che di sinistra. (al massimo sarebbe auspicabile uno spirito ‘grillino’, ovvero azzeriamo e ricominciamo da capo.)

    Vi riporto un link che adoro: http://evasori.info/. Come vorrei fare un sito del genere per riportare le illegalità della danza italiana! Slurp!: l’avrò ‘mimato’ bene graficamente? Hehehehe..

  16. cristine says

    Velocemente,e premetto non ho letto tutto,ma vorrei intervenire.
    Io in austria ci ho vissuto, studiato e lavorato, cara Lia,e ti devo dire che si le tue info sono giustema parzialmente vere.
    Nel senso che chi come il tuo contatto è stabile-famoso dispone di quelle cifre. E ti correggo molto è sostenuto in realtà dalle sponsorizzazioni e privati, e senza il loro supporto e lavorare ai fianchi coi risultati non si sarebbe creata questa situazione odierna, di investimenti. In generale la situzione danza è migliore,ma non è semplice o il paese dei balocchi.
    Di sicuro c’è una maggiore istituzionalizzazione nelle università e la mentalità americana è completamente assorbita (quel modo di fare di cui parla il post di MIlka).
    SOno presupposti veramente importanti per valutare la situazione. Tieni conto che cio ha creato un grande indotto economico,e il metodo di tassazione è decisamente più semplice ed equo,altro fattore indispensabile,ed anche ti può aiutare,ma questo è un altro discorso.
    L’austria è piccola,ma ha razionalizzato meglio le risorse e gli investimenti.
    Il gusto del pubblico e il tipo di danza che va per la maggiore è ben diverso da quello italiano.
    Ma sopratutto sanno vendersi molto bene.
    Però… l’università è molto cara, sempre mentalità u.s.a.,non a quei costi, ma molto più alti di quella italiana.E te la devi pagare,non ci sono sconti.Anche se sei un morto di fame meritevole, devi sganciare moneta sonante.
    LA burocrazia è quasi più allucinante di quella italiana (ti ricordo quanto tempo gli austro-ungarici sono rimasti in Italia ,e il nostro sistema è stato allora importato da loro…)
    Ben diversa la Germania:ho vissuto anche li 2 anni.E mi associo a Giovanni: lì la vita costa meno in generale e ci sono più aiuti sociali dallo Stato.Non si può paragonare.
    Pure la Francia non è poi sto granchè.
    Ovvio che se ti confronti col 12 mondo nel settore ,ovvero noi qui, beh tutto ciò che è fuori luccica.
    Ma anche qui ci sono esmpi che ci invidiano.
    IO Col comune di Padova,vivo un esperienza molto utile e positiva, che esiste da 15 anni, dove ti puoi affittare una saletta prove, del comune a 15 euro bimensili.SI riesce ad avere più omeno 8 ore alla settimana. NOn ci sono grandi dotazioni tecniche, ma se ti adatti , la spesa è ben inferiore a quella di Vienna, MIlano o Berlino o Parigi.
    Perchè anche a Vienna, se non sei studente universitario, austriaco, con tantissimi requisiti che qui non elenco, ti scordi le sale prove a gratis.MInimo 50 euro l’ora. Ti assicuro che in Austria se possono ti fanno pagare anche l’aria che respiri al minuto.
    GRues Got
    (come ci si saluta lì, benedici DIO)

    Essere un giovane autore squattrinato è difficile anche lì, e Vienna non esaurisce l’austria, dove per lo più sono stanziati i fondi. A SAlisburgo, Linz e Graz, oltre ad esserci le università più grandi di danza, sono anche quelle più creativamente attive e interessanti. E tutte le maniferstazioni più importanti e piccole si trovano i fondi.Ed hanno successo. Dopo un pò eventualmente arrivi a Wien e riesci ad accedere alle agevolazioni.Forse. Ma molti evitano il pubblico, perchè nel privato hai più libertà.
    Ma privato lì non è mai negativo o di parte,non si storce il naso. Io stessa invoco lo stesso privato in italia.

  17. Grazie Cristine … la tua testimonianza completa un pò il quadro della situazione. E’ importante sentire più campane per capire il contesto nella sua interezza… ovviamente è ovvio che il sistema perfetto non esiste, ed è per questo che trovare il bandolo della matassa è un pò difficile. Il mio contatto, comunque, non è un nome famoso, assolutamente. Tra l’altro non è neanche austriaco. Ha cominciato con una sovvenzione a progetto 20 anni fa, e dopo tutto questo tempo è arrivato a prendere una cifra simile a quella che qui in Italia prendono -ad esempio- Abbondanza e Bertoni, quindi una cifra anche relativamente modesta, ma che lui si fa bastare per le produzioni e per le retribuzioni.
    Per questo credo che la sovvenzione a progetto sia molto importante, e forse potrebbe essere davvero un’idea da adottare, per chi vuole cominciare a produrre qualcosa, ma soprattutto per cominciare ad avere un pò di visibilità.

    Io non vorrei che si pensasse che sono CONTRO il privato nelle arti. Io sono d’accordo con qualsiasi risorsa possa aiutare la cultura a risollevarsi da questo vuoto cosmico che ci avvolge, ma penso che lo possa fare solo insieme al pubblico, ecco, tutto qui.
    Per questo, visto che mi sembra che abbiate molto le idee chiare, mi piacerebbe sapere da qualcuno di voi esattamente cosa si intende per privato. Nel senso: da dove e da chi arrivano queste sovvenzioni? Sono aziende? Fondazioni? Vorrei capire meglio.

    ….sapete che vi dico? Secondo me sarebbe saggio trovare dei punti in comune, qualcosa nella quale crediamo fermamente, perchè sono convinta che un momento decisivo sarà la stesura della legge regionale per lo spettacolo dal vivo, che reinterpreterà le linee guida di quella nazionale, e allora forse attraverso questa interessantissima discussione possiamo focalizzare l’attenzione su qualcosa di irrinunciabile e necessaria, per poi provare a cercare un canale istituzionale … parlo per la Lombardia, ma credo che sarà interesse anche di altre regioni!!
    La storia della sovvenzione a progetto fu messa avanti anche alla tavola rotonda della danza che fu fatta con il C-Dap (coordinamento regionale Lombardia) a palazzo Marino un paio d’anni fa. Era una delle poche cose sulle quali ero assolutamente d’accordo.
    Che ne dite? Ci proviamo?

  18. cristine says

    Ti ringrazio per la risposta e cerco di spiegare. SI privato sono tutti i soggetti economici.Un esempio.
    Nel 2003,come valutazione finale del penultimo anno di studi,gli studenti devono organizzare un festival chiamato”LUST AM RISIKO”
    (il gusto del rischio). Bisogna organizzarsi in tutto,non solo nel produrre gli spettacoli,ma organizzare tutto: ufficio stampa, tecniche,organizzazione performance e quindi soddisfare tutte le necessità tecniche, trovare i luoghi e quindi i permessi etc.
    MA sopratutto bisogna trovare il modo di finanziare il tutto. Come abbiamo fatto?
    Beh,abbiamo formato il gruppo di reperimento fondi,che calcolasse tutto e si occupasse della partre burocratica.E ci siamo mossi chiendo a tutti: passanti per strada, tutte le attivita commerciali (negozi, ambulanti,imprese, società di qualsiasi tipo e ovviamente fabbriche,industrie)presenti in quel territorio (SAalisburgo e provincia). Così a parte la felice partecipazione,anche di micro donazioni di gente comune, le forniture di oggetti e servizi più disparati (ad es, i bicchieri per i party post performance,ce li ha imprestati una birreria,i fari una discoteca,gli impianti audio un negozio di hi-fi,la pubblicità i vari quotidiani,il cibo veniva dal surplus dei supermercati,sono stati ideate e vendute piccoli oggetti, performance,video,etc). Ma sopratutto ci siamo impegnati,nel progettare e sviluppare un bel marketing,non solo di pubblicità ma di attività correlate al festival: I party! QUindi sia chi era venuto a federe il festival, ma sopratutto molti giovani che abbiamo allettato grazie ad un prezzo imbattibile di consumazione e possibilità di divertimento, molto allettante con un biglietto di ingresso.LA più equa e non “suicidante” pressione fiscale austriaca e maggior sveltezza burocratica, di sicuro sono stati elementi determinanti del successo di quest’operazione.
    Così abbiamo catturato una bella fetta di pubblico, che poi ci si è affezionato,anche tra coloro che ben si guardavano dall’avere un interesse nelle arti performative: sia da chi col pensiero:vi ho aiutato con una donazione e voglio proprio vedere cosa ne avete fatto e se mi piace,sia tutti quei giovani che cercando divertimento a buon mercato, si sono trovati nel bel mezzo di una manifestazione artistica, fatta da loro coetanei,che grazie a questi incontri ha pensato: mi diverto con loro,vediamo cosa combinano.Però oltre a bere e andare per locali, non è male anche vedere qualcosa del genere,mi sono divertito altrettanto.NOn sono noiosi come pensavo fossero le cose che riguardano i teatri.Anzi….

    Spero di averti illuminato un pò su cosa intendo su Privato.

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