Franca inaugura un nuovo ciclo di riflessioni sulla pedagogia della danza contemporanea. Riflessioni che, crediamo, porteranno nuova aria e molti dibattiti. Enjoy!
23 Dicembre 2024
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Franca inaugura un nuovo ciclo di riflessioni sulla pedagogia della danza contemporanea. Riflessioni che, crediamo, porteranno nuova aria e molti dibattiti. Enjoy!
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Ciao Franca credo che la questione non sia se insegnare plié oppure no, la danza contemporanea si sviluppa attraverso diverse tecniche Io credo che un danzatore che voglia fare di quest’arte un mestiere debba necessariamente passare per un percorso formativo a 360°, non escludendo assolutamente il codice , patrimonio da cui originiamo..anche perchè immagina un danzatore che si muova senza nemmeno piegare le ginocchia!!e se ne vedono purtroppo…eppure avvicinandosi decisamente alle diverse tecniche di danza contemporanea che oggi tutti i danzatori del mondo studiano.E anche se sicuramente oggigiorno moltissimi coreografi lavorano sull’improvvisazione ti garantisco che non ho mai visto coreografi che prendano solo minimamente in considerazione danzatori che non sappiano usare il proprio corpo secondo un codice di movimento.
Ad un danzatore non si può non insegnare un codice o schema di movimento né non proporre sequenze di danza, come non insegnargli ad ascoltarsi e pian piano a destrutturare degli schemi per formarne dei nuovi, in formazione un danzatore deve studiare a 360°…centrarsi significa avere consapevolezza del proprio corpo al punto da avere delle scelte, più possibilità di movimento.
Il problema è il “come” non il “cosa”…
Poi una cosa è la formazione ed un altra è il lavoro coreografico: se un coreografo mi chiede di stare con le gambe storte non significa che a lezione devo stare con le gambe storte e non avere la possibilità di studiare l’allineamento (esempio banale ma credo efficace).
Se stiamo a porci queste domande STIAMO RITORNANDO INDIETRO!
Al di là di espressioni tanto perentorie e assolute quanto falsificabili dall’esperienza stessa (“a un danzatore non si può non insegnare un codice” o “non ho mai visto coreografi che prendano solo minimamente in considerazione danzatori che non sappiano usare il proprio corpo secondo un codice di movimento”), trovo che il nodo del discorso di Franca sia una domanda: cosa vuol dire “contemporaneo”? Nell’arte un’opera, nel momento stesso in cui entra in un museo, non è già più contemporanea, almeno non nell’accezione in cui è contemporanea un’opera esposta in una galleria o in una fiera. Allo stesso modo potremmo dire che uno stile, una ricerca nella danza, nel momento in cui viene codificata in una tecnica o in un metodo non è già più contemporanea? Credo che il nostro compito, in quanto performer/danzatori/coreografi/operatori/insegnanti di danza contemporanea sia quello di riflettere costantemente sulla nostra storicità, di mettere in discussione noi stessi e le nostre tradizioni, di essere, a pieno titolo, cittadini globali di un mondo globale. Ci possiamo davvero permettere di chiuderci, senza una riflessione o una concettualizzazione, in forme stabilite da altri? Lo stesso si può dire per le lezioni: chi ha stabilito che la forma-pliè debba rimanere tale? O che la forma rilassamento-riscaldamento-esercizi-sequenza sia, per l’appunto, una “sequenza” immutabile o indiscutibile? Chi ha stabilito quali sono i “360°” della formazione di un danzatore? In quanto ‘contemporanei’ non possiamo non fermarci a riflettere su questi temi.
Volevo ringraziare Franca: una donna che, con trent’anni di esperienza di insegnamento alle spalle, comincia una riflessione di questo genere condividendo il proprio sapere e i propri dubbi, è più unica che rara.
Sì, trovo questo post veramente molto interessante, soprattutto la messa in discussione dell’insegnamento da parte di una persona con così tanta esperienza.
Da “allieva” la cosa difficilissima da trovare mi è sempre sembrata quella di trovare dei maestri che educhino al movimento, al di là delle varie tecniche basate spesso su principi di movimento completamente differenti tra di loro. Mi è capitato più spesso di trovare danzatori che eseguivano alla perfezione piroette e rotolate, ma che non si reggevano in piedi. Non avevano idea di dove stessero i propri piedi rispetto al bacino. E dico un’idea interna, non formale. E come innovare se non si ha idea del principio della tecnica che si pratica? Trovo che sia possibilissimo allenarsi pedissequamente e senza riflessione per anni, l’ho visto fare. Così insegnata e appresa, la tecnica è un limite, non una risorsa.
Insegnare e apprendere con intelligenza, non come dogma ma capendo quali sono i principi che regolano la tecnica, è importantissimo, e non così frequente, purtoppo.
Per quanto riguarda le sequenze e i codici, io credo che dipenda dall’obiettivo del danzatore stesso.
Personalmente le sequenze non mi piacciono, a meno che non siano il frutto di una dinamica interna, formalizzata solo a posteriori. Però da danzatrice infatti tendo ad incontrarmi con coreografi che non scelgono i danzatori sulla base di un’abilità tecnica, ma sul riconoscimento di una qualità di movimento più personale, su altri aspetti meno “quantificabili”. Questo atteggiamento di riconoscimento della personalità del danzatore, invece del creare uno stampino, spesso identico al coreografo, mi sembra un atteggiamento più “contemporaneo”, ma non è così diffuso, per lo meno mi sembra. Credo che il panorama sia così diversificato che non sia più possibile avere un’unica formula, valida per tutti.
La cosa sicuramente da cui non si dovrebbe prescindere è quella di insegnare la consapevolezza del movimento, anche attingendo ad altre tecniche, lo yoga, le arti marziali, tutto ciò che è necessario per evitare di allevare stampini abilissimi, ma storti e pieni di blocchi energetici. Il resto, forse ad oggi dipende dall’orientamento del danzatore, se intende diventare un esecutore, un interprete o un autore…
La questione è … quale lezione per la danza contemporanea?
personalmente insegno tecnica release, sono passato per lo studio del codice accademico e dopo un lungo periodo di ricerca al lavoro al suolo, praticando le piu’ svariate tecniche yoga, tai chi, capoeira, danza butho, meditazione, ed altro ancora. Da anni pratico la contact improvisation e l’improvvisazione, e ho danzato fino a vomitare! ma se oggi qualcuno mi chiede di entrare in una classe a praticare una struttura o una sbarra classica, certo non mi giro e dico “no grazie!io sono contemporaneo”…lo trovo molto stupido e riduttivo. La cosa che ha segnato un’importanza fondamentale per me è stato lo studio del metodo Feldenkrais che pratico da anni, all’interno del metodo si scompongono continuamente piccole STRUTTURE (schemi) di movimento .
Se chiedo ad una persona di cadere e questa persona non ha lo schema di piegare le ginocchia, questa si farà male, ma se si insegna a piegare le ginocchia la persona in questione sarà felice di cadere, perchè avrà imparato ad usare il corpo tramite questo schema, che se vogliamo è una struttura che può essere praticata tramite la danza classica, la danza contemporanea, moderna etc..etc.. rispettando i parametri biomeccanici dello scheletro.
Inoltre, una volta Zambrano mi disse “se pratichi aprire e chiudere la mano, impari anche a flettere ed estendere la colonna” questo vuol dire in piccola forma che se impariamo a strutturare un movimento tramite il nostro sistema nervoso o una sequenza di movimenti siamo capaci non solo di trasferirlo su altri piani, ma anche direi, di scomporlo e osservarlo da piu’ punti di vista. Non credo sia penalizzante per noi praticare strutture anzi non può che arricchire il nostro vocabolario di informazioni, come del resto anche riposare il corpo, dormire, mangiare e fare altro.Tutte azioni molto contemporanee, perchè tutt’oggi sono presenti come azioni semplici del nostro tempo.
Ripeto stiamo ritornando indietro, forse bisogna leggere di più e imparare da persone che sono piu’ evolute .
A Giovanni: l'”esperienza” caro, è soggettiva .Falsa per qualcuno, vera per altri.
@chiara: forse non mi ero spiegato bene. Espressioni come “nessun coreografo prende persone prive di tecnica” e’ un’espressione semplicemente non vera, proprio perche’ l’esperienza, come tu stessa dici, e’ soggettiva. Io, come coreografo, scegliero’ danzatori con certe qualita’ ed esperienze alle spalle, tu invece con altre. Entrambi, per fortuna, abbiamo diritto di lavorare, in questo mondo.
@fabrizio: Sono piacevolmente impressionato dalla mole di esperienza che hai maturato nella tua vita. Ma non ho capito cosa c’entra con il discorso di franca. Le sue parole, per come le ho intese io, partono dalla sua storia personale, e non intendono destituire la tua della sua importanza, ma semmai problematizzarla.
@tutti: vi prego, confrontiamoci sulle idee, non prendiamo queste cose in modo cosi’ personale e soprattutto, visto che non ci conosciamo, non diciamoci ne’ “caro”, ne’ tantomeno di leggere di piu’. :;
ma io vorrei una risposta da parte di Franca pero’!!!:-)
Giovanni, le domande che emergono dal video di Franca sono:
1. quale deve essere il tempo di formazione per un danzatore contemporaneo
e a questa rispondo : tutta la vita, perchè non si finisce mai di apprendere
2. tecnica: come farla digerire velocemente
rispondo: non c’è fretta….pensare di fretta non produce risultati e non genera un buon percorso artistico
3 Ci sono codici da dare? certo che ci sono codici da dare, come anche sopra tutti i codici possono fare parte del nostro sviluppo di apprendimento, purchè siano codici insegnati con qualità e rispetto dei parametri funzionali del corpo.
Poi Franca fa una riflessione su “movimenti specifici” per la creazione stessa dove ritiene che all’interno delle composizioni non ci siano piu’ sequenze di movimento…qui sono totalmente in disaccordo
4 E’ inutile esercitarsi con tanto sforzo e tanta fatica se poi dopo bisogna destrutturare gli schemi appresi? qui mi ricollego alla risposta n.3
è importante secondo me praticare il movimento attraverso tecniche, metodi, di qualunque genere, purchè il nostro corpo ne abbia bisogno e sia disposto a praticarli, per un sano e trasversale percorso di apprendimento, che non si limiti a catalogare cio’ che puo’ essere contemporaneo e non, ma utile e ripeto funzionale per il corpo.
5 Le sequenze sono un’abitudine?
rispondo:come nell’apprendimento, come in uno dei metodi piu’ innovativi del nostro secolo come il Metodo Feldenkrais, la metodica e l’abitudine sono utili tanto quanto il cambiamento. A volte anche le abitudini ci salvano.
Assolutamente non ne faccio una questione personale, ho parlato di me semplicemente per riportare la mia esperienza.
Buona ricerca.
Fabrizio
Io ho molto apprezzato questo post. La danza contemporanea è variegatissima e nessun percorso ha un valore inferiore all’altro, e questa cosa per esempio a me è stata molto evidente fuori dall’Italia, dove la danza minimalista, per esempio, è considerata con lo stesso rispetto di percorsi più “tecnici” in senso classico; è interessante che ci sia un’insegnante che si faccia queste domande, visto che di lezioni di tecnica in giro se ne trovano moltissime, e invece di veri pedagoghi ce ne sono molto pochi. E questo sarebbe un arricchimento per qualunque danzatore, dal più tecnico al meno tecnico…
E poi mi viene in mente un’altra cosa (così problematizzo un altro pò!!): non siamo un pò danzacentrici? Allora lo yoga? Il tai chi? L’aikido? Non sono tecniche? Hanno lo stesso rigore della danza. Si apprende moltissimo in termini di consapevolezza del corpo e dello spazio intorno, di ritmo. Ho visto coreografi cercare espressamente praticanti di arti marziali. Secondo me la base per tutti dovrebbe essere davvero la consapevolezza, per evitare di logorarsi, e forse per scoprire una parte più creativa di sé, invece di appoggiarsi per tutta la vita a tecniche inventate da questo o da quello. Poi con quella, ognuno ci fa quel che vuole…e nessun percorso ha un valore a priori superiore ad un altro.
Relativismo!
Ciao:)
Sono d’accordo con Fabrizio, la ripetizione e l’apprendimento di schemi “sani” e funzionali per il corpo è utile in qualunque percorso di ricerca del danzatore, dal più al meno sperimentale.
Tutto il resto dipende.
@fabrizio@chiara@luna@giovanni@giuseppe
intanto grazie per i vostri commenti e devo dire che non mi sento in contrasto con nessuno di voi, non sono qui a dare ricette ma sta nascendo proprio la discussione che speravo. Approfitto per dire ancora qualcosa: quando insegno mi sento “tra” l’esigenza del corpo e l’esigenza dell’arte di cui il nostro corpo è strumento.
Non ho mai pensato che non si debbano piegare le gambe ovviamente, ma quando dico “plié” non intendo il movimento ma il fatto di ridurre il movimento a un fatto formale, se invece seguo i principi del movimento un plié diventa andare “contro” la gravità, cadere è andare “con” la gravità e la danza diventa una relazione e non è più una forma. Forse sembra una sciocchezza, ma per la mia esperienza se cambio il punto di vista, molte cose cambiano e soprattutto cambia l’atteggiamento del danzatore che partecipa alla lezione. Non credo che imparare a danzare sia imparare una tecnica, per me significa entrare in un mondo, per questo mi chiedo quale sia il modo più efficace per entrare in questo mondo del “contemporaneo”. E’ proprio questo il punto per me più importante in questa discussione: l’efficacia. Da quando dirigevo una formazione collaborando con un istituto di Parigi mi trovo ogni anno a rimettere in discussione l’insegnamento, lo facciamo tutti gli insegnanti insieme, e tutti sentiamo ogni anno il bisogno di cambiare perché cerchiamo qualcosa di più funzionale, di più utile.
Per esempio se cogliamo ciò che dice Luna quando parla delle altre “tecniche” come yoga aikido ecc, o Fabrizio che parla del feldenkrais, già qui vediamo che la danza in senso stretto è percepita come non più adeguata, abbiamo bisogno di altro, di consapevolezza e tutto ciò di cui avete parlato. Allora io mi chiedo, perché considerare queste cose come “altro” quando cominciamo a vedere che sono necessarie alla danza, che diventano una sua “esigenza”? Invece di fare questo processo di aggiungere tecniche a tecniche, mi faccio domande sull’evoluzione della danza e mi chiedo come insegnarla. Ciò non significa fare cose qualsiasi, ma mettere tutte le conoscenze che abbiamo, e acquisite anche attraverso tecniche varie, per trovare un insegnamento valido che porti i danzatori a lavorare sia sul corpo che sulla creatività, al fine della produzione artistica.
OH! Stavolta arrivo a discussione già avviata! Che bello vedere tutto questo fermento! Grazie Franca, davvero hai saputo mettere un punto in una questione importante. Sono queste le discussioni preziose!
Allora. Io insegno danza classica, ma sono una danzatrice contemporanea, e chi ha frequentato le mie classi di balletto sa che non si tratta affatto di una lezione accademica.
Ho cominciato a studiare danza contemporanea dopo tanti anni sulle punte, e questo all’inizio mi ha creato un sacco di problemi, per allontanare quegli “schemi” di cui parlava Franca. Adesso, però, dopo molti anni, mi rendo conto che il bagaglio del balletto non è stato affatto dimenticato, ma è stato reintegrato e trasformato in qualcosa di nuovo, e rimane comunque una ricchezza importante nel mio modo di concepire il movimento.
George Balanchine (che di schemi ne ha infranti tanti) diceva che le regole di possono destrutturare solo se si conoscono bene. Quindi io credo che un bagaglio tecnico sia comunque importante, e non intendo studiare danza classica, o meglio, non solo. Parlo della capacità di un danzatore di rendere il proprio corpo duttile e reattivo, e questo passa anche dallo studio della “tecnica”.
Per quanto riguarda il ruolo della “sequenza” alla fine della classe, qui parlo da allieva, io credo che quando un insegnante crea una lezione organica dove ci si concentra su un aspetto particolare (mettiamo il caso: la spirale ), e poi propone una sequenza finale che insiste su quello stesso principio, io ho la possibilità di vedere come quel concetto può diventare coreografia. Chiaro, è UN punto di vista, ma è utile perchè è un punto di vista diverso dal mio, con soluzioni di movimento diverse da quelle che avrei potuto trovare io. Inoltre questo mi da la possibilità di vedere quanto sono capace di entrare nel linguaggio di qualcun’altro, che è effettivamente un aspetto importante del mestiere del danzatore.
Io lavoro come docente in una accademia professionale da quasi dieci anni, quindi oltre che danzare in prima persona, mi occupo di formazione e didattica in ambito coreutico. Penso che quando si formano dei futuri professionisti del movimento, bisogna dare loro più strumenti possibili, perchè non possiamo sapere con quante diverse realtà queste persone entreranno in contatto. Ogni coreografo ha il suo metodo compositivo ed il suo modo di attingere alle risorse dei suoi danzatori, quindi secondo me bisogna formare professionisti competitivi e pronti a qualsiasi richiesta. Per me la tecnica è sempre stata un grande aiuto, una casa a cui tornare e a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà….anche solo per memorizzare più velocemente una sequenza, o avere più chiarezza dello spazio attorno a me, o per sapere cosa vuol dire allungare un arto…
La tecnica non deve essere “digerita”, ma secondo la mia esperienza gli allievi devono essere coinvolti e bisogna far capire loro che la tecnica è uno straordinario strumento che…
Condivido quello che ha scritto Luna sulla definizione di “tecnica”, quando parla anche di altre discipline affini ,per rigore e uso del corpo, alla danza….non vorrei che dopo aver detto che insegno danza classica qualcuno di voi pensasse che voglio attaccare tutti alla sbarra!!!! Ehehehehe
Uff….la frase finale del primo post, che forse era troppo lungo (scusate, ma la discussione è troppo succulenta!!!)era:
“La tecnica non deve essere “digerita”, ma secondo la mia esperienza gli allievi devono essere coinvolti e bisogna far capire loro che la tecnica è uno straordinario strumento che li aiuterà e li sosterrà nel loro lavoro. In altre parole: se un allievo pensa che la tecnica sia qualcosa da “digerire”, beh, forse deve ripensare alle proprie scelte. O no?”
Adesso smetto.
Io non insegno e premetto che nutro rispetto per chi fa questo lavoro molto difficile! Capisco che chi insegna debba farlo con consapevolezza nel rispetto dei propri allievi che vedono nell’insegnante in quel momento un punto di riferimento. E trasmettere un messaggio, una tecnica, un valore significa certamente credere in quello che sti sta trasmettendo innanzitutto come insegnante. Pero’ credo che lasciare delle “zone d’ombra” nella trasmissione di codici e di insegnamenti, sia necessario. Partendo dagli stessi dogmi o assiomi che provengono dal passato, come la citazione di Balanchine proposta da Lia: voglio dire senza dubbio affascinante, ma non pensate che magari Balanchine sarebbe piu’ contento della riuscita del suo insegnamento se si riuscisse a rovesciarlo piuttosto che a problematizzarlo, finoltre a superarlo? Non e’ anche questo il compito di un danzatore contemporaneo? Come e’ possibile che Franca alla sua eta’ (perdonami Franca x come la metto giu’) riesca ancora a ‘domandarsi’ o a ‘riformularsi’, mentre insegnanti piu’ giovani passano in rassegna solo certezze o punti di vista a tratti rigorosi?
Eppure siamo abituati alla zona franca, della creazione, quando tutto e’ ancora in essere e possibile. Non si dovrebbe dunque insegnare agli allievi quella condizione di zona franca alla quale abituarsi, per ricreare e magari riproblematizzare anche quello di cui stiamo discutendo adesso? Ovvero, proprio perche’ stiamo praticando il dibattito (miracolo tra danzatori), non si dovrebbe lasciare da parte quello che si sa gia’ e mettere sul piatto ingredienti nuovi?
cara Franca,
innanzitutto grazie per aver toccato un tema così importante, che avrei voluto tirare fuori con una bomba delle mie ma che mi son guardato bene dal farlo perchè troppo grande e delicato per uno come me…
vado per ordine….
1.come si deve insegnare la danza contemporanea?secondo me è importante che l’allievo si faccia un idea delle varie scuole di pensiero rispetto alla disciplina.ritengo importante che un futuro performer debba sapere e sperimentare sul suo corpo le differenti tecniche. non credo nella tecnica pura…troppi maestri dopo uno stagino a newyork di una settimana tornano in italia spacciando le loro cosine per tecnica pura di un x coreografo!!!!lo trovo patetico! mi pare più onesto dire (come faccio io) ai miei allievi :”vi passo una delle riflessioni provenienti da quella x scuola, dal tale coreografo, dal tale compsitore ecc…”cercando di non confondere e deformare l’idea di provenienza con le mie deformazioni creative.io sono un docente di danza contemporanea ma soprattutto di laboratorio coreografico. il mio obiettivo rispetto ai tre anni di accademia dei miei ragazzi è quello di essere utile per ciò che andranno a fare nelle audizioni specie all’estero e nelle loro future attività di compositori!!!quindi non smetto di stare con le antenne dritte per captare segnali dal mondo e veicolare loro ciò che veramente può essere utile (mi basta essere utile anche in una percentuale come l’1%)…
2. chi deve insegnare? deve insegnare chi ama insegnare e possiede gli strumenti didattici e le conoscenze pedagogiche per farlo e non chi ha fallito come creativo o come danzatore…questo è un nodo cruciale…troppi docenti sono docenti per ripiego e questo è un danno per chi, come me, ha scelto di fare formazione!non importa l’età, non importa l’attestato, importa la scelta e la coerenza!!
3.come far digerire la tecnica? a che serve la tecnica se poi va decostruita? sono dell’idea che non è possibile sovvertire distruggere e aggredire il sistema di regole se prima non le si conosce profondamente.credo nel ruolo fondamentele del docente di danza classica ma finora solo LIA è secondo me in grado di fornire ad un danzatore anche alle prime armi una consapevolezza critica anatomica intelligente accurata del suo potenziale corporeo e organico!!!se ne conoscete altri di docenti di questo tipo a milano segnalatemeli vi prego!!!! lia è in grado di fornire una serie di dati non in modo impositivo e chiuso ma in modo aperto e sperimentale, chi ha studiato con lei può confermarlo!!! lia dovrebbe fare corsi di formazione per docenti di classico. la tecnica è importante perchè è foriera di nitidezza mentale, è garante di un igiene fisico necessario al successivo lavoro del docente di contemporaneo che sarà quello di trovare un perchè alla rivoluzione della forma e ad un percorso alternativo verso l’infinito delle forme ossia l’esplosione, la deflagrazione della forma.
dimenticavo…
siete daccordo con me che i nuovi performer sottovalutino l’importanza della memoria intesa proprio come capacità di fissare ed interiorizzare delle sequenze al fine poi di dare una testura compositiva?
faccio una provocazione:
ultimamente (io per primo) siamo diventati dei rotolatori eccellenti…poi quando il compositore chiede di ripetere una struttura nella maggior parte dei casi c’è il panico!
a furia di improvvisare non c’è più testo, nel senso…è come se nel sistema morfo-sintattico italiano non esistessero la possibilità di ripetere e quella di fare variazioni sulle parole…è come se in un testo letterario lo scrittore scrivesse 200 pagine senza ripetere una parola! grave o no? eppure noi contemporanei in questo siamo braaaaaavissimi!!!
altra provocazione:
è fico danzare di schiena (al di là del tema), è fico danzare con occhi persi nel vuoto, è fico danzare con la faccia coperta! perchè?
non trovate che qualcuno nel nostro ambiente abbia deformato le tecniche d’improvvisazione imponendo un codice che in origine non c’era?danzare per se come per trovare il proprio centro di gravità permanente è bello se la danza fosse gratis…io mi rifiuto di pagare un biglietto per sentire i sospiri (iperventilazioni da performer contemporaneo : altro cliché) della santa teresa di turno!mi bastano i miei di sospiri…basta!!!!
questo perchè molti docenti veicolano messaggi fuorvianti!!!vero o no?
io penso di si!
Beh, grazie Davide, grazie mille, ma adesso mi sento molto in imbarazzo…in realtà tutti noi cerchiamo solo di fare del nostro meglio, e molto spesso tentiamo di diventare gli insegnanti che avremmo voluto avere quando abbiamo cominciato a studiare danza.
Credo che nessuno di noi abbia la verità assoluta sulla danza, tantomeno per quanto riguarda una disciplina così complessa come la danza contemporanea. Credo anche che nessuno di noi sia in grado di fornire un bagalio formativo completo al futuro danzatore. Penso che ognuno di noi possa trasferire delle nozioni specifiche, una piccola percentuale di quello che serve per diventare dei danzatori professionisti. Io non posso che proporre il mio 1% di conoscenza, rispetto al “tutto danzante”, ma questo 1% è quello dentro al quale ho ricercato, studiato, praticato. E’ un 1% che conosco abbastanza bene da poterlo trasferire, e se un allievo riuscirà a trovare un collegamento tra quello che fa nella mia classe e quello che fa nelle classi di laboratorio o di danza contemporanea…beh…boom! Vorrà dire che è riuscito a ricomporre questo complicato puzzle. Del resto non esiste solo UN corpo danzante?
@giuseppe
Per sapere se Balanchine è più contento così o colà dovremmo fare una seduta spiritica e chiederglielo…sono una sua seguace ma non sono in contatto con lui 🙂
Però credo che da Balanchine ad oggi siano stati ancora fatti dei passi avanti in fatto di balletto, e questo vuol dire che non ci siamo arroccati dietro a sterili regole, neanche noi che insegnamo discipline “rigide” come la danza classica. La tecnica è una materia duttile e malleabile, molto più di quanto si possa pensare. E poi mi sembra che la discussione non sia “ma è più importante la tecnica o l’aspetto creativo?”….anche perchè è ovvio che la risposta è TUTTE E DUE! Credo che uno debba anche scegliere che tipo di danzatore vuole essere, come ha suggerito Davide, e quindi cercare le competenze e i maestri che più lo possano far diventare quello che desidera. Ma non è detto neanche che uno sappia già fin dall’inizio cosa vuole….è una strada che si spiana momento per momento.
Penso quindi che non ci sia una strada giusta in assoluto, ma che la personale ricerca della verità di ognuno di noi possa passare anche attraverso cammini distanti, ma giusti per ogni differente individualità.
Per Lia: secondo me non c’e’ bisogno di fare una seduta spiritica per sapere cosa pensasse Balanchine. Quanto meno il punto non e’ quello, pur apprezzando la battuta.
Il punto e’: se la rivoluzione industriale lascia la makkina a vapore alla sua generazione e’ perche’, non solo potesse goderne, ma perche’ potesse superarla per arrivare a creare il pc che hai in mano in questo momento per leggere quello che sto scrivendo.
Tutte le lezioni che ci hanno lasciato i “giganti” di cui Chiara parla in facebook, sono però il risultato di una sforzo precedente per arrivare a quelle lezioni che ci hanno lasciato come dono. Franca sta provando a fare uno sforzo: tutto qui!
Sono d’accordo con Lia al cento per cento!! Anch’io parlo da non insegnante e anche da danzatrice anomala e più interessata alla coreografia che alla danza, quindi già fortemente orientata… Però ecco, trovare dei veri formatori, qualunque cosa si faccia, credo che sia ciò che fa la differenza, e questa mancanza credo che dipenda in parte, come dice Davide, dal fatto che tanti le lezioni le fanno per arrotondare lo stipendio e non come necessità pedagogica…
Io però la provocazione non l’ho capita, forse perché non sono molto dentro al mondo della formazione…
La schiena, l’uso dell’occhio e il volto mascherato sono scelte coreografiche, no? Forse non ho capito qualcosa, ma rispetto alla formazione c’entrano?
Se qualcuno (chi?:) è riuscito ad affermare un proprio codice, non è mica obbligatorio poi copiarlo a frotte… Però mi sembra che questa cosa attenga di più all’ambito della creazione…no?
Vorrei porvi qualche domanda, dubbi che mi sono venuti nel corso di questa proficua discussione:
1. La danza contemporanea ha a che fare con la tecnica? Non parlo di ‘formazione nella danza contemporanea’, ma di danza contemporanea tout cours. Andare a vedere una performance di d.c. prevede precise aspettative sulla tecnica? Credo si siano confusi un po’ questi due piani, come dice anche Luna: quello della formazione e quello della creazione.
2. Sento spesso dire, per diversi ambiti: ‘occorre conoscere una tecnica per poi superarla’, come se la danza contemporanea, per essere tale, dovesse continuamente ‘superare’ qualcosa di gia’ tracciato da altri. Siamo sicuri? E se uno volesse partire da un punto di vista ‘tecnico’ del tutto nuovo, senza necessariamente inscrivere nel proprio corpo 10 tecniche diverse, che vanno dal Giappone, all’India, fino al Brasile? E se un artista cercasse un proprio spazio di movimento del tutto personale, senza voler necessariamente superare niente o porsi in confronto con qualcos’altro?
3. Perche’ dire che siamo stufi dei rotolamenti? Ognuno non ha diritto a esprimersi come desidera, sulla scena? Anche il rotolatore avra’ un suo pubblico di aficionados di rotolatori… Se non siamo noi, non e’ un suo problema! Nelle grandi citta’ c’e’ spazio (ci deve essere spazio) per ogni forma d’arte e di danza… Se a Milano fosse così, forse non staremo qui a biasimare i danzatori rotolatori…
4. @Davide: la sequenza… Non e’ solo la sequenza a definire la testura compositiva di un lavoro… Un intero spettacolo puo’ essere giocato per tutta la sua durata su dei task da eseguire (e’ solo uno dei tanti esempi possibili che non implicano la memorizzazione di sequenze). No sequence=no memory= no dance?
Ciao Franca credo che “l’efficacia” di cui parli e la “funzionalità” siano un buon punto di partenza per la ricerca, do grande importanza a queste parole, e credo che siano la direzione migliore, per chi insegna, di trasmettere un codice di danza. Credo anche da queste si possa arrivare ad un’onesta relazione con il movimento. Quando l’intelligenza del corpo che sicuramente è più antica del nostro pensiero emerge, il corpo sa decidere qual’è la cosa migliore da fare.
Inoltre penso che l’integrazione e la consapevolezza, siano un mezzo indispensabile per chi sta cercando qualcosa e chi continuerà a farlo.
Ancora buona ricerca
Fabrizio
Grazie Giovanni, questo punto della situazione è molto utile. Effettivamente la discussione ha preso due strade diverse: formazione e creazione.
Io nei miei commenti ho sempre parlato di formazione perchè pensavo che l’input di Franca fosse proprio su quello, ma ovviamente poi si è spaziato un pò.
Per quanto riguarda un discorso più tout court, come dici tu, mi verrebbe da dire che ognuno fa un pò quello che gli pare, quello che trova più giusto per la sua ricerca e per il contesto di un progetto specifico. Non credo che si possa dire di più riguardo la creazione…non sono un critico di danza e non ci tengo a diventarlo proprio adesso, sinceramente.
Per quanto riguarda il tuo punto 2, penso che ognuno sia libero di scegliere i maestri e la formazione che preferisce, e se per lui è meglio fondare la propria ricerca sul movimento delle amebe nell’acqua piuttosto che studiare tremila tecniche di movimento dai cinque continenti è liberissimo di farlo. Penso che, però, chi si occupa di formazione (e quindi sta dall’altra parte), certe domande debba farsele e debba poi anche darsi delle risposte, che siano in linea con la propria visione, con il proprio punto di vista, in modo da essere un insegnante coerente, che ha fatto delle scelte precise e che ha trovato una propria linea didattica da proporre ai propri studenti. Quando hai di fronte a te delle persone che si aspettano di ricevere dei punti di riferimento, e magari ti fanno una di quelle tremende domande semplici semplici la cui risposta necessiterebbe di una conferenza lunga un week end….beh, se tu queste domande non te le sei fatte prima ti troverai a passare un brutto quarto d’ora…tanto per cominciare. C’è poco alla fine da arrampicarsi sugli specchi: l’unica cosa su cui si può fare affidamento in questi casi sono i principi di base del movimento della “macchina umana”, il suo allineamento, il suo peso, il suo appoggio, le sue leve e la possibilità di produrre dinamica.Praticamente tutto quello che praticamente, per gli amici, è la tecnica. Si chiamerà “arte del movimento” per qualche motivo!
Riassumendo: c’e’ chi rischia e c’e’ chi no.
rettifico:
per Luna e Giuseppe:
forse mi sono espresso male è vero, in realtà ponevo l’accento sul fenomeno Nefasto dei clichè del danzatore contemporaneo… La sequenza è diventata un tabù, ed io performer creativo non voglio avere tabù, (inoltre) io docente riconosco l’utilità dell’esercizio di memoria…non amo i luoghi comuni …e secondo voi questo non ha nulla a che fare con la cattiva formazione ?…riflettiamo…
anche la CREAZIONE necessita una FORMAZIONE è questo il mio punto nodale…c’è posto per tutti, sono daccordo, tutti devono sperimentare ma chi crea non è un solo ed esclusivamente un ISPIRATO!!!non concepisco il creatore come un illuminato che un giorno si sveglia e fa quello che vuole…sono antico forse,ma credo nell’importanza delle scelte e del percorso individuale.non critico il risultato, il punto d’arrivo di un artista, critico semmai la sua onestà intellettuale, lo sforzo creativo,la sua generosità laboratoriale…questi sono i miei parametri.
le domande di franca hanno secondo me la potenza di innescare un dialogo positivo, sono domande legittime e ogniuno di noi deve trovare il coraggio di metter in discussione se stesso…io per primo.
sono discorsi delicati e proviamo ad ascoltarci in modo profondo,fidiamoci della riflessione e dell’esperienza dell’altro perchè tutti questi interventi portino ad una riflessione pacata.
trovo molto bello il fatto che se ne parli!veniamo tutti da esperienze diversissime e credo che ogniuno possa aiutare l’altro ad essere più duttile a proposito di alcuni temi.
grazie ragazzi.
E io colgo la palla al balzo di Davide…infatti, nella prospettiva del formare anche creatori, o comunque persone consapevoli, affiancare lezioni teoriche alla pratica per storicizzare le correnti di movimento??
E’ vero che molto spesso l’ispirazione della mattina porta a riproporre cose che, senza che il diretto interessato ispirato lo sappia, hanno già fatto vent’anni prima…e questo ha sicuramente a che vedere con la formazione. (A meno che il coreografo o danzatore non voglia impazzire cercando video e libri in giro, ma sarebbe molto bello se formandosi un pizzico di questo arrivasse da fonti più “facili” da reperire)…Sono convinta che nella creazione la citazione di qualcos’altro possa essere fantastica, ma dev’essere consapevole! Invece trovo persone che ricalcano percorsi di altri nella totale inconsapevolezza, perché non hanno o non si sono cercate altri strumenti…
@Giovanni (poi basta!)
1. Mio punto di vista personale …. purtoppo nella maggior parte dei casi sììììììììì. Infatti alcuni ti dicono “ma questa non è danza”…ancora? E ammesso che sia vero (non siamo affezionati alle parole!) lo spettacolo, quello, ti è piaciuto?? Ma qui si va su un altro tema….
2. Ecco, io parlo un pochino per esperienza personale, rispetto ai miei tentativi…Io ho fatto relativamente poca formazione prima di sentire l’esigenza di creare; infatti poi parto nella creazione dal mio pensiero, non penso a destrutturare qualcos’altro, ma parto proprio da un’altra parte.
Ora nel tempo, non molto ma è bastato, la mia esigenza è stata:
– fare qualcosa per sentirmi, che fosse yoga, posturale, ecc…perché mi stavo spaccando le ginocchia non avendo l’allineamento giusto, e purtoppo sperimentando non ci si sta superattenti. Conosco folli sperimentatori che però ad una certa età – non elevatissima- si ritrovano con le ginocchia massacrate e il colpo della strega…però questa non c’entra con la creazione, è una scelta personale!!!!
– nell’ambito della creazione (che infatti diventa luuuunga) avere coscienza di tutto quello che è stato fatto in quell’ambito. Non significa studiare praticamente tutte le tecniche e il repertorio, ma piuttosto informarsi su ciò che è stato fatto (anche l’anno prima!). Trovo che sia importante per qualunque creatore operi in questo campo, e pure per qualunque danzatore, avere coscienza anche teorica dei contesti e dei principi dei movimenti artistici passati, vedere video, andare a teatro anche se a volte non entusiasma, per rendersi conto del contesto in cui operiamo….questo perché (e ricollego 1 e 2) purtoppo il nostro corpo-mente, nel 2010 non è puro, siamo condizionati in ogni caso, siamo deformati dalle posture da ufficio, bombardati inconsciamente da messaggi di ogni tipo…il rischio del principio “rimango puro” è che si produrrà una sequela infinita di cliché, senza accorgersene.
4- Per esempio, perché a lezione oltre alla sequenza, non si insegna che ne so, la composizione aleatoria??La sequenza è una modalità di composizione tra tante, e da alcuni è stata già ampiamente superata! Perché non dare un’opportunità di conoscenza più ampia al danzatore?
Scusa Gius, ma cosa vuol dire “c’è chi rischia e chi no?” …non capisco bene come interpretarla.
Vorrei ritornare un attimo alla frase che ha scritto Fabrizio: non è il “cosa” si insegna ma il “come”.
E’ lì che secondo me si prendono i rischi. Il rischio di essere fedeli alle proprie idee e alla propria ricerca anche quando non si segue una strada già battuta, intendo.
Penso che una persona che si occupa di formazione si debba in un certo senso annullare nello sforzo di trasferire delle informazioni valide e degli strumenti utili, in modo neutro, senza imporre un dogma ma solo un punto di vista…ma a volte invece capita di voler essere ‘originali’ a tutti i costi proponendo coreografie che seguono più un principio estetico che non didattico, su musiche maestose e ricercate spesso troppo invasive per un momento di studio. L’insegnante non deve intrattenere. Trovo che molto spesso il momento di studio diventi troppo simile alla sala prove, mentre io penso che siano due momenti distinti.
Sono d’accordo, è importante per un formatore trasmettere i principi esatti, nello spirito di chi li ha trasmessi, altrimenti si fa laboratorio coreografico, che è un’altra cosa.A volte trovo però che le lezioni manchino però di contestualizzazione e di teoria di supporto, e i concetti vengano trasmessi senza una riflessione, che dovrebbe essere necessaria…ci si muove troppo e senza spirito critico, ed è questo che genera i famigerati stampini.
Generalizzando. Diciamo che questo è stato l’85% delle lezioni con cui sono venuta a contatto, gli altri, casi rari.
Ho la sensazione che i ‘formatori’ che stanno intervenendo su questo argomento si stiano tenendo un po’ sulle difensive, tirando fuori argomentazioni di comune buon senso, verita’ come ‘la memoria’ o ‘la tecnica’ o ‘la sequenza’ che sono tutto tranne che verita’ eterne (la formazione e’ un processo storico, cambiato nei secoli e che cambia anche ora da civilta’ a civilta’). Franca ha gettato qualche provocazione. Alla fine sembrate tutti d’accordo con lei, ma allo stesso tempo difendete una vostra peculiare posizione. Capisco che sia piu’ semplice partire dai propri gusti ed esperienze, ma a volte, e soprattutto in questo spazio di liberta’, sarebbe piu’ interessante conoscere i vostri dubbi, non le vostre certezze.
E’ una discussione complessa questa, non credo che sia facile trovare un modo giusto per svilupparla. Siamo solo all’inizio del confronto e credo sia normale partire da quello che si conosce per andare poi oltre. Io penso di non avere proprio nessuna certezza, il mio gusto e le mie conoscenze sono in continuo cambiamento, al punto che a volte agli studenti che ho da più anni ho detto tutto e il contrario di tutto. Chiaro che ognuno di noi ha delle competenze e un metodo che va via via sviluppando, dei punti di riferimento….se non li avessimo sarebbe difficile fare questo lavoro.
Io non mi considero un insegnante conservatore solo perchè ho dei punti di riferimento, e non mi pare che essere lanciati verso il nuovo debba necessariamente comportare il rifiuto assoluto di cose iportanti come memoria o tecnica o tutto quello che è stato menzionato da Davide, Fabrizio e Luna….di cosa stiamo parlando? Di diventare degli anarchici che lottano contro il sistema? Chi insegna sa che gli allievi non chiedono questo.
giovanni tu hai esperienza di insegnamento nella danza contemporanea? hai studiato la danza e fai ricerca sui principi del movimento?hai esperienza di sala a contatto con i danzatori e non danzatori per la didattica? sei un “formatore”? la tua innovazione da dove parte, da quali principi? sulla base di quale ricerca e studio?
Io di dubbi ne ho tantissimi ma sono il fuoco della mia ricerca, quello che mi spinge a stare in sala per la creazione e a cercare soluzioni formative di continuo, ed anche ad essere qui ora a dialogare su qualcosa di cui faccio esperienza tutti i giorni.
Inoltre di “comune buon senso” sono le tue parole che non parlano di un esperienza personale ne si basano su cose scientifiche dell’arte del movimento come dice Lia alla quale tutti abbiamo attinto per non insegnare cose strampalate! Tieni presente inoltre che molte delle persone che praticano il movimento non hanno nessun ambizione particolare di fare i danzatori per professione, alcuni di questi vogliono star bene, vogliono migliorare la “memoria”, vogliono migliorare la loro postura. Gli AFRICANI danzano liberamente sequenze di movimento in ripetizione per sentire il corpo e per gioire della danza e della terra! Non capisco il tuo accanimento verso la creazione, il discorso è più ampio di quello che stai riducendo a 4 cose!
@Lia: capisco che l’anarchia sia troppo per te, perche’ insegni danza classica e non contemporanea. Io non parlavo di anarchia comunque, pero’ dato che l’hai tirata fuori tu, devo ammettere che non faccio fatica a ritenerla un’ipotesi possibile.
@fabrizio: non sono un politico, eppure posso esprimere opinioni sulla politica. Lia insegna danza classica, eppure esprime opinioni (legittime) sulla danza contemporanea. Ti bastano questi due esempi per capire che la mia opinione rimane comunque valida?
Che il dibattito continui (se ha ancora senso)!;)
buongiorno a tutti. vediamo se riesco ancora a nutrire la discussione, lo spero. Mi sembra davvero interessante e cerchiamo di avere tutti pazienza e tirare fuori il meglio, capirsi su un argomento di questo genere in fretta e via internet non è facile e quindi per @Giovanni penso proprio che abbia ancora senso che il dibattito continui.
Sulla questione danzatore-coreografo: io credo che nella danza contemporanea questa distinzione sia ardua, io direi che il danzatore contemporaneo è un “danzautore” e non è un problema da poco se ti si richiede di essere già un autore e hai iniziato da poco la tua professione. E’ anche per questo motivo che mi faccio tutte queste domande e a proposito dell’efficacia non riesco a non avere presente le difficoltà che un “allievo” si troverà a affrontare in un futuro vicino. Per la “tecnica”: è chiaro a tutti noi che bisogna mettere il corpo in grado di danzare al suo meglio e quindi che il corpo debba fare un cammino di conoscenza, ma è proprio qui la questione: qual’è il miglior cammino di conoscenza per un corpo? e poi che cos’è il “corpo” per noi? il corpo è lo strumento di questa arte, lo diciamo e lo sentiamo sempre dire, ma non è uno strumento “normale” estraneo all’essere umano come un violino per esempio, ma è intrinseco, è l’uomo stesso, il corpo corrisponde totalmente,spazialmente e temporalmente, all’essere umano, è un’esperienza unica. Da un po’ di anni lo considero un’intelligenza, l’aspetto solido dell’intelligenza, per questo mi è difficile parlare di “tecnica”. Come insegnare a una intelligenza? Da quando lo considero intelligenza mi è difficile pensare “allenamento”, ma penso “apprendimento”. E anche apprendendo ci si allena, lo sappiamo con le altre materie, da quelle scientifiche a quelle letterarie, sappiamo che una mente che non impara più si ferma, invecchia.
Però, per @ Giovanni @Lia se nella danza contemporanea non ho veramente a che fare con una tecnica, ho sempre a che fare con la “danza” e quindi ritorniamo al dunque: quando il corpo danza? come noi riconosciamo la danza?
Vediamo se ripartendo da qui riusciamo affrontare la pedagogia in modo diverso.
Grazie Franca, speravo in un tuo intervento. Condivido l’idea di tirare fuori il meglio da noi, e se ogni tanto ci scaldiamo un pò nell’enfasi della discussione beh….cerchiamo di riconquistare la calma appena possibile. Per essere lucidi!
Due cose solamente:
1) sposo in pieno la definizione di “corpo” di Franca. E’ esattamente quello che penso io. E’ proprio per questo che, dopo così tanti anni in cui il mio corpo ed il movimento vivono questo rapporto stretto, non mi ritrovo nella classificazione “insegnante di danza classica”. Mi soffoca proprio. Io credo che i meccanismi che muovono il corpo/mente sono pochi e sempre quelli, qualunque tipo di danza facciamo. Forse non è così per tutti ma per me esiste un solo corpo che danza. Per questo partecipo a questa discussione convintadi avere qualcosa da dire. Sono una danzatrice e una insegnante di danza. Senza specifiche.
2) forse potremmo sostituire la parola “tecnica” con la parola “studio” o “approccio” se vi aggrada. In questo modo sarà più facile forse immaginarla non come qualcosa che si ‘costruisce sopra’, una ‘sovrastruttura’, ma invece come una competenza che ci permette di ritrovare quei meccanismi e quelle connessioni che il nostro corpo conosce, antropologicamente parlando, ma che sono state in qualche modo dimenticate, sommerse.(quelle di cui parlava anche Fabrizio) Quindi un lavoro che si fa ‘a togliere’ e non ad ‘aggiungere’, in modo, alla fine, da rivelare quello che c’è sotto, e cioè il corpo libero di muoversi.
Inoltre questa capacità permette al danzatore/autore di poter contare sulla potenza comunicativa di un corpo che in questo modo è in grado di risuonare nello spazio, e di essere sempre pronto a soddisfare le richieste drammaturgiche del caso.
Il discorso sulla creazione è troppo complesso da fare per me adesso. Mi prendo questa notte per pensarci su perchè la sintesi non è una delle mie capacità.
Concordo a pieno con quello che dice Lia, nel suo modo di esprimersi si sente una professionalità e una competenza che viene non da conoscenze o pregiudizi a priori, ma da qualcosa di cui ha diretta esperienza, e questo mi affascina ed è uno dei motivi per cui tanti insegnanti durante la mia formazione hanno accattivato il mio interesse e mi hanno introdotto con serietà alla conoscenza e alla scoperta del mio corpo come danzatrice prima e poi come insegnante.
Credo che Lia abbia centrato anche il problema della creazione nella sua definizione di “corpo libero”, libero una volta mosso dalle sue informazioni, dai suoi stimoli, e le sue esigenze di muoversi a livello drammaturgico o nelle sue astrazioni. L’arte per sua definizioni è libera, questo vuol dire che un danz’autore nella sua creazione dovrebbe svuotarsi da dinamiche di sistemi e del mercato, questo per me è onestà verso la propria ricerca. Poi la decisione di presentare lo studio che si è fatto dipende dalla efficienza del lavoro, dalla sua potenza comunicativa, dalla produzione ecc. Ma questo è a prescindere dal fatto che una compagnia usi partiture coreografice o no, esistono degli autori che pur lavorando su partiture, “strutture”, hanno una qualità di lavoro “contemporaneo” indiscutibile, perchè la contemporaneità non dipende soltanto dal codice che usi, ho assistito a dei lavori che pur privati della natura coreografica soffrivano di una scarza ricerca sui contenuti trattati.
vi saluto.. buon lavoro a tutti.
Sono felice della determinazione di Franca che in realta’, che lo si ammetta o meno, sta gia’ avviando un cambiamento importante. A questo punto resta la fase di avvio dei lavori.
E poi, FERMI TUTTI! Proprio x l’onesta’ intellettuale di cui parlava Davide, bisogna ammettere quello che si insegna. Ovvero Lia, tu insegni danza classica (ovviamente so che sei una danzatrice contemporanea): senza scarpette e piu’ orientata ai danzatori contemporanei, al tilt, piu’ accademica – ipotizzo – al mas; ma comunque parliamo di danza classica! Ed e’ proprio riconoscendolo che acquista valore il tuo metodo e l’eventuale apporto alla danza contemporanea. E soprattutto evitiamo di confondere le cose. Come pure la capoeira e’ capoeira. Come lo yoga rimane yoga. Inoltre se poi – e passiamo alla fase della creazione – decido di usare una posizione yoga (di quelle che tirano tanto ultimamente) in una performance di danza contemporanea, mi sta bene ma bisogna riconoscerla come tale. Se poi quella posizione yoga e’ di contorno estetico come puo’ esserlo dal mio punto di vista un tendu, mentre per un altro e’ coerente nella creazione artistica a livello di danza, be’ di questo eventualmente si potrebbe parlare. Pero’ ammettiamo la realta’ delle cose che si fanno, se no davvero vale tutto e il contrario di tutto.
(Ovviamente Lia non e’ riferito solo a te e la parte dello yoga non ti riguarda affatto).
“Quando il corpo danza?
Come noi riconosciamo la danza?”
Domande troppo generiche! Di quale danza stiamo parlando?
Le domande devono incentrarsi di piu’ sul concetto di contemporaneo e su come la formazione puo’ aiutare a chiarire questo concetto, fermo restando che stiamo parlando di danza come forma d’arte.
Ovvero: quale tecnica? Considerando le molteplicita’, e’ essenziale conoscere e riconoscere forme d’avanguardia di approccio come quelle del Movement Research di New York: anche qui l’onesta’ intellettuale e’ importante! Le tendenze à la “360 gradi” come dicevano Fabrizio e Chiara, e’ evidente che non sono tecniche per il contemporaneo, direi piu’ PRATICHE, ma che non c’entrano con il contemporaneo!
Inoltre in un orientamento avanguardistico, le possibilita’ di gestione di una lezione possono assolutamente includere la possibilita’ di eliminare le sequenze, lavorando magari maggiormente sulla qualita’ individuale del performer, ad esempio.
Perche’ un nodo centrale nella formazione e’ come aiutare il proprio allievo a sviluppare consapevolezza e creativita’ insieme e che quindi gli sia chiaro che se decide di usare la verticale nella sua creazione, puo’ farlo ma sta inserendo stilemi creati gia’ da altri: e questa e’ ancora onesta’ intellettuale! Solo cosi’, dal mio punto di vista, puo’ diventare un autore!
Mmmhh…Ma perché non confondere, ma più che altro non contaminare? Il contact non prende molto dall’aikido?
Era una ricerca, diventata trasmissibile, e oggi è una pratica diffusa dappertutto.
Cos’è che possiamo mettere dentro e cosa fuori dalla danza contemporanea, e forse come dice Franca, dalla danza tout court?
Per me i confini sono molto più confusi di quanto vogliamo credere…
mi sono perso…forse, in ogni caso sto riflettendo su alcuni temi:
la contaminazione è inevitabile, la penso come luna.
e a giovanni e giuseppe rimando il concetto di APORIA DELLE AVANGUARDIE(adorno).
è un processo circolare in cui al periodo di codificazione segue il periodo anarchico e destabilizzante tipico delle avanguardie, al quale segue il manierismo, infine l’aporia delle avanguardie in cui il TRASGREDIRE diviene essa stessa una norma e quindi perde il suo impatto e la sua ragione d’essere…per poi ripartire di nuovo dalle regole in un’infininito ritorno all’ordine neoclassico…si chiama storia dell’arte! (semplificata).
il problema nostro è che non è una cosa da niente superare l’impatto delle ultime vere avanguardie (che hanno toccato punte estreme)…non è impossibile superarle ma non è facile ecco perchè oggi la parola anarchia mi fa ridere!perchè in questo momento secondo me non è godibile come qualche anno fa…tutto qui.
infine il laboratorio coreografico, che è la mia materia (credo), non è una lezione di giocodanza, ha pieno diritto di essere parte della formazione, è il luogo dove la regola e l’anarchia cooperano e dialogano, e ci vuole tecnica perchè questo accada!no?
Luna:non hai capito il mio commento (leggilo bene):)), perche’ sono convinto anch’io delle contaminazioni.
Davide: io e Gio’ nn abbiamo parlato di anarchia! Lia l’ha tirata fuori dal cappello delle provocazioni: colta la provocazione per qualche riga, e’ stata subito messa da parte.
E dato che anche il cappello delle citazioni/suggerimenti e’ stato ampiamente usato (da Balanchine a Peter Brook fino ad Adorno), consiglio allora a Davide di andare a New York dove s’impara a proteggersi di meno dall’ombrello delle citazioni (tipico degli italiani!) e andare dritti al punto delle cose. Restiamo sull’argomento, vi prego.
Sono d’accordo con Giuseppe, persona che stimo assai, sia a livello personale che professionale. E sono anche d’accordo con Luna, una mover riflessiva e colta. Sono filosofo di formazione (non amo sciorinare le mie esperienze in merito, e non lo farò, ma credo che a questo livello sia utile anche identificare le proprie competenze): il discorso è stato portato a un livello di astrazione tipico della filosofia dell’arte. Ognuno ha in sè, inscritte nel proprio corpo e nelle proprie esperienze, le conoscenze adeguate per dire cosa sia, per lei o per lui, la “sua” danza. Ma vedo qui dentro almeno tre approcci diversi, del tutto inconciliabili tra loro, a cui si è appena aggiunta anche la scuola di Francoforte, in un modo che non capisco: non capisco cioè la relazione tra avanguardia e anarchia – le avanguardie erano anarchiche? Si mette in discussione lo status quo solo con l’anarchia? Sfogliamo i testi di Yvonne Rainer o di Bruce Nauman o la filosofia di Andy Wahrol o di Marcel Duchamp per renderci conto di quanta struttura c’era dietro la loro ricerca e di quanta teoria originale hanno prodotto (oggigiorno i danzatori producono teoria? Non è che forse anzichè essere nella fase dell’aporia siamo in quella del manierismo?). Riconosco anche molte fallacie retoriche, che portano continuamente il discorso su false piste, poichè è difficile concentrarsi solo sulle idee (e non su se stessi), è difficile dubitare (e riconoscerlo pubblicamente) delle proprie conoscenze, è difficile andare direttamente al punto. Ma se mancano questi tre requisiti, personalmente non ho interesse ad affrontare una questione così generica. Preferirei tornare alla forza iniziale del messaggio di Franca e alla possibilità di una messa in discussione di alcuni canoni dell’insegnamento. Mi riconnetterò al discorso quando saremo ritornati a quel punto. A presto e sono lieto che Studio28.tv sia diventato uno spazio per una tale discussione.
@Giuseppe: anch’io ho sfoggiato le mie citazioni e i miei suggerimenti 😉 Speriamo di averli esauriti e di restare sull’argomento.
Sì, stiamo spaziando troppo!..Con questi temi ci apriamo altri dieci post!!
@Giuseppe: riletto e capito :))
Sono temi molto complessi, mi accorgo che a volte parliamo delle stesse cose, solo usando termini diversi.
ok sdrammatizziamo! allora dobbiamo andare tutti prima al movement research di new york e poi possiamo parlare.. ho capito! 🙂 ahahaha
le nostre esperienze personali non possono servire a molto, credo cosi giuseppe si senta più soddisfatto:-) E’ molto simpatico questo punto di vista..
Apprendo che il tendu e la verticale non sono contemporanei, e che dobbiamo riferirci per la contemporaneità ai metodi appresi da giuseppe! ok per capire meglio il tuo punto di vista pratico verrò a fare lezione con te giuseppe. .. dove insegni?
Ognuno di Voi con un suo titanico punto di vista…
Ognuno di Voi con la sua onnipotente esperienza personale…
E’ bello assistere a tale perfezione…
L’unione di tutti rinnova il mistero della creazione…
Franca ha creato un onda… i suoi interrogativi hanno dato spunto a un movimento particolarmente passionale… un coinvolgimento che ha toccato in profondità tutti quelli che si sono espressi in merito…
Quanta bella animosità… direi… una bella DANZA… uno spettacolo davvero entusiasmante…
La realtà è multidimensionale… Ogni esperienza personale ha il suo valore indiscusso… Ogni percorso viaggia sul livello dimensionale raggiunto… La quantità dell’esperienza non ne garantisce l’evoluzione… e la qualità vibrazionale raggiunta da ogni essere (nella mente, nel corpo e nello spirito) dipende dal suo livello evolutivo raggiunto… Dunque… mi trovo d’accordo con tutti voi. Ognuno si presenta in base alla sua dimensione di realtà, più o meno evoluta, con vari gradi di consapevolezza, e con ognuno si manifesta una particolare qualità vibrazionale.
Riconosco in tutti Voi messi insieme un grande MAESTRO. La vostra unione non solo risponde agli interrogativi ma permette una visione completa dei fatti in discussione. Vi percepisco come tutte facce dello stesso diamante…
Ps: MIO UMILE PARERE PERSONALE – Ovviamente… la DANZA è al disopra di tutti noi… semplicemente si esprime attraverso di noi… ma proprio perchè ci anima, è qualcosa di più grande… almeno per adesso… parliamo ancora di noi rispetto alla danza… come due entità separate e distinte… Quando svanirà questa dicotomia… e ci scopriremo nell’UNO… solo allora svaniranno tutti gli interrogativi in proposito. PUF……….. tecnica, non tecnica… arte, non arte… Quando lasceremo cadere tali opposizioni, inizieremo a Danzare.
Per la danza siamo tutti maestri, per i maestri di danza siamo tutti strumenti danzanti… da soggetti ci ridimensioniamo a oggetti… in pasto al pubblico sovrano. E’ un bisogno dell’uomo fare della danza un lavoro… non è un bisogno della danza diventare una disciplina artistica. Trovo che ciò che sia adeguato per ognuno che sceglie tale percorso è ciò che fa bene alla NATURA del suo corpo, della sua mente e del suo spirito… cioè in armonia con il naturale scorrimento fluido dell’energia.
GRAZIE DI CUORE A TUTTI
“Ogni cosa è diversa, ogni cosa è la stessa” Proverbio Zen
Be’, io non insegno (l’avevo gia’ scritto!), ma i bravi insegnanti restano sempre in ascolto nei confronti degli allievi, giusto? Posso dunque come allievo, suggerire alcune classi interessanti se vi capita di passare a NY. Li indichero’ nella sezione forum.
(Alla fine perche’ non provare? anche se i nomi vi dicono poco, come i vostri per loro d’altro canto.)
Penso sia giusto avere un ventaglio di possibilita’ il piu’ inclusivo possibile: ovvero un metodo Ferrari non e’ detto che non possa convivere con il vostro.. Perche’ non avere quel ventaglio anche qui da noi?
Allora, ancor piu’ semplice di un viaggio transoceanico, basterebbe anche solo provare una lezione di Franca. Soprattutto, come sostiene Fabrizio, che tiene a specificare che nelle sue affermazioni ci sono delle domande: perche’ allora non chiedersi “proviamo?”
ops, scusate ma non riesco a fare a meno di restare sull’argomento. :))
P.S. Grazie Davide per averci seguito fin qui e per averci dato una visione cosi’ inspiring della danza!
Ciao a tutti, Arrivo buon’ultima questa volta e come contributo al dibattito, perchè si allarghi il più possibile, ho linkato questo post sul mio blog. Spero che a Franca e a voi tutti non dispiaccia. Per quel che mi riguarda, trovo difficile entrare dentro al complessissimo intreccio di riflessioni, così su due piedi,e soprattutto nello spazio di un commento; ma credo che scriverò qualcosina, rileggendo tutti voi e ripensandoci, durante l’estate.Sono molti i temi che scaturiscono dalla domanda centrale di Franca e mi sembra che siano tutti stati toccati in un modo o in un altro. Credo che l’approccio filosofico di Giovanni sia utile sul piano culturale e che i pensieri che nascono invece anche da una esperienza di pratica quotidiana, di docenti o allievi, siano importanti sul piano metodologico. Baci a tutti e un saluto speciale a lia ( condivido molto lia, di quel che scrivi, come sempre e mi piacerebbe un incontro ravvicinato se vorrai!)